Toccare per credere: la proposta multimediale del museo Martinitt e Stelline di Milano

Vedere. Toccare. Interagire. Giocare. Conoscere. Dare vita a un luogo emozionale nel quale un pezzo di memoria della Milano ottocentesca venisse raccontato e vissuto anche con il contributo di tecnologie all’avanguardia. Questi sono stati gli obbiettivi che nel gennaio 2009 hanno condotto all’inaugurazione del centro Martinitt e Stelline in corso Magenta 57, nel cuore di un’area cittadina ricca d’istituzioni culturali ed economiche. Si tratta di una struttura complessa e articolata che si qualifica come grande contenitore culturale: oltre a un ricco patrimonio archivistico e bibliotecario riguardante le tre istituzioni cardine dell’assistenzialismo milanese – l’orfanotrofio maschile dei Martinitt, l’orfanotrofio femminile delle Stelline e il Pio Albergo Trivulzio – è possibile trovarvi sale di studio e ricerca, sale per conferenza, ma soprattutto il primo museo completamente interattivo e multimediale di Milano.
Strutturato su due piani e in dieci sale, esso combina efficacemente praticità nell’organizzazione e novità nell’esposizione. Mettere in scena la Storia non era mai stata una sfida tanto contemporanea. La scelta di presentarla attraverso installazioni, video, monitor e giochi interattivi consente innanzitutto di raccogliere un vasto numero di documenti in uno spazio esiguo, trasformando così radicalmente l’approccio agli archivi storici. D’altra parte le nuove concezioni museografiche e le metodologie espositive innovative qui adottate obbligano il visitatore a interagire e partecipare attivamente nel percorso offerto, permettendogli di immergersi profondamente nelle vicende personali passate, attraverso le sensazioni evocate da suoni e immagini.
Non a caso veniamo accolti infatti da un insistente sottofondo di risate, parole sussurrate e rumore di passi sulle scale e da foto di numerosi volti di bambini proiettate lungo le pareti: piccoli accorgimenti che ricostruiscono fin da subito la quotidianità vivace ma altrettanto rigorosa degli orfanotrofi. Senza genitori e per di più particolarmente poveri, i Martinitt e le Stelline – chiamati così dal nome degli istituti in onore di S. Martino e Santa Maria della Stella – venivano educati e istruiti ai mestieri affinché fossero riabilitati totalmente alla vita.
Il museo ripercorre perciò ognuna di queste fasi: dalle modalità di ammissione, descritte mediante l’utilizzo di fascicoli e documenti selezionati direttamente dal visitatore su un monitor, alla presentazione dei vari ambienti che scandivano la giornata di questi bambini. Divenuti ormai spettatori-attori partecipi non di nostra spontanea volontà, ma secondo un’implicita richiesta che fonda la fruizione del materiale scelto, abbiamo così l’occasione più unica che rara di giocare e scoprire con la curiosità dei sensi, soprattutto del tatto, uno spaccato di vita lontano nel tempo. Possiamo sederci al banco e partecipare a una tipica lezione dei Martinitt, fedelmente ricostruita attraverso i manuali dell’epoca. Possiamo sfogliare virtualmente i testi scritti appositamente da sommi pedagogisti come Felicita Morandi ed Emilio De Marchi per la crescita formativa di questi giovani.
Possiamo sperimentare in prima persona l’importanza attribuita ai lavori domestici per le donne, riproducendo l’atto della stiratura di abiti sgualciti, che celano in realtà immagini rappresentative della condizione femminile nell’Ottocento. Possiamo far emergere le proiezioni delle biografie di ospiti dell’orfanotrofio e celebri benefattori manipolando gli oggetti della sala. Ma non solo. Perché il pregio di questo museo risiede proprio nelle molteplici possibilità che offrono linguaggi alternativi e attraenti.
Cristina Davenia
22 maggio 2012