Lo scatto fotografico ha una natura potenzialmente autodistruttiva. La rincorsa alla perfezione nel dettaglio, ardentemente inseguita dai sempre più numerosi beneficiari della “democratizzazione digitale”, rischia a volte di trasformarlo in una banale e anonima registrazione della realtà.
Arriva dalla Francia tuttavia un forte esempio di purezza fotografica al servizio di un progetto di testimonianza, interpretazione e valutazione della società e dei suoi cambiamenti. Protagonista di un lungo lavoro critico sulle dittature e le false speranze del mondo contemporaneo è Gèrard
Rancinan: fino al 27 maggio la Triennale di Milano ospita – su una superficie di ben 2000 mq – la sua trilogia “Des Modernes”, giunta finalmente al suo definitivo compimento espressivo.
Accompagnato dai testi poetici selezionati dall’autrice Caroline Gaudriault, Rancinan invade le candide sale dell’edificio meneghino con enormi immagini – rigorosamente realizzate in analogico – ispirate in parte a grandi opere della storia dell’arte e appositamente stravolte secondo i dettami dell’umanità moderna. La storia di quest’ultima è vissuta come una vera e propria opera in tre atti, di cui ogni visitatore diviene amareggiato spettatore. In un primo tempo ciascuno si confronta con il processo di “Metamorfosi” che la collettività avrebbe subito: una trasformazione decadente voluta dall’accelerazione della storia, dal desiderio di una bellezza eterna e dalla virtualizzazione del mondo. Proseguendo si può assistere alla descrizione delle molteplici “Ipotesi” di esistenza che questo mondo ha creato: vite fondate sull’effimero e imprigionate nella bolla dell’omologazione e della globalizzazione dei consumi, figlie di una pericolosa perdita delle tracce, delle culture identitarie e dei linguaggi radicati nei popoli. Il percorso di conclude infine con la seducente proposta di una realtà artificiale, a “Wonderful World”, in cui gli uomini, spogliati da ogni naturale fragilità, responsabilità nonché memoria collettiva, vivranno con successo il mito di una felicità universale e solitaria, efficacemente raccontata attraverso le maschere di vari personaggi dei fumetti e supereroi, eternamente identici a se stessi.
Che sia solo una frizzante e ironica provocazione lanciata al pubblico o un più preoccupato allarme contro la cecità dei nostri tempi, la visione lucida e disincantata di Rancinan invita con pungente determinazione a ridiscutere onestamente un sistema di valori ormai condiviso. Le sue sono immagini accattivanti, evocative ed esteticamente ricercatissime, in cui è difficile non riconoscersi.
Grazie ai dettagli e alle estreme caratterizzazioni umane strappate al quotidiano, ogni fotografia rispecchia la contraddizione interna a uno splendore sociale poco autentico, possibile solo a un caro prezzo per l’individuo: «Il Moderno instaura la rivincita del mediocre. Vuole piacere a tutti.
Definire la media come metro di riferimento dei nostri valori artistici, intellettuali e politici. Il Moderno ama tutto, si esprime solo con il sì e ha migliaia di amici! Il Moderno è il gioioso artigiano della sua propria regressione.» Uno spunto di riflessione ideale per chi sente di non sfuggire più degli altri alla propria epoca e alle sue illusioni.
Cristina Davenia
12 maggio 2012