Se un momento è importante, non scattargli una foto. I Deserti digitali previsti da Italo Calvino.

Reginette e reginetti di Instagram, ascoltate. Scattare foto a casaccio può ostacolare i ricordi dei momenti davvero importanti. Uno studio di Psychological Science ha proposto questo esperimento: alcuni soggetti mandati al museo con l’ordine di fotografare alcuni oggetti e di osservarne altri. Alla fine è risultato che ricordavano meglio quelli osservati di quelli immortalati.
“L’obiettivo è un velo davanti ai nostri occhi e non ci rendiamo conto che è lì”, dice Diedra L. Argilla, psicologa che ha coordinato la ricerca.
Come essere felici: godetevi i momenti e i luoghi che visitate, fate foto solo delle cose davvero importanti. Conservate luoghi o persone anche solo attraverso altre vie della memoria che siano l’olfatto o la ricostruzione degli arredi di un posto in cui siete stati felici Byung-Chul Han , il filosofo più coerente al mondo, critico feroce del digitale e del capitalismo cognitivo contemporaneo si fa raggiungere con estrema difficoltà, odia essere registrato, detesta anche solo sforzarsi di parlare una lingua che non sia il tedesco (nato a Seul nel 1959, si è trasferito negli Anni Ottanta a Berlino, e qui insegna Filosofia e Studi culturali alla Universität der Künste). L’inglese? Strumento dei dominatori, va escluso a priori. Invitarlo a una conferenza e filmarlo è un’impresa. L’editore italiano Nottetempo che lo ha sostanzialmente scoperto (nonostante poi, ovviamente, siano arrivati anche altri) pubblica ora il suo Elogio della terra ed è un libro in cui, dopo anni di decostruzione della dittatura del digitale e del performativo, si iniziano a intravedere alcune proposte concrete che traggono linfa anche dall’amore di Byung-Chul Han per la filosofia zen: la natura, anche con la sua metafora del giardino planetario, può essere la soluzione a un mondo costantemente presentato come “finito”. Perché scappare su Marte, come i tecno entusiasti (scioccamente) suggeriscono, quando basterebbe osservare gli altrove che dai deserti agli oceani compongono il nostro mondo? E se fossimo noi stessi questo altrove, abbandonata la società dell’intrattenimento forzato, da coltivare ed esplorare? Byung-Chul Han si rivela : polemico ma intelligentissimo, fissato sul fatto che se usassimo lo smartphone per identificare le piante invece che per postare su Instagram molti problemi verrebbero risolti.
Ne “L’avventura di un fotografo”, uno dei racconti più densi del libro “Gli amori difficili” di Italo Calvino, Antonino Paraggi, impiegato con la passione di “sdipanare il filo delle ragioni generali dai garbugli particolari”, osserva con astio e sospetto la mania dei suoi coetanei di fotografare ogni movimento dei figli, ogni posa delle mogli, ogni giornata passata in compagnia degli amici. “Basta che cominciate a dire di qualcosa: ‘Ah che bello, bisognerebbe fotografarlo!’ e già siete sul terreno di chi pensa che tutto ciò che non è fotografato è perduto, e che quindi per vivere bisogna davvero fotografare quanto più si può, e per fotografare quanto più si può bisogna: o vivere in modo quanto più fotografabile possibile, oppure considerare fotografabile ogni momento della propria vita. La prima via porta alla stupidità, la seconda alla pazzia”. Non importa se Calvino scrive in un’epoca in cui la fotografia è ancora quella analogica delle pellicole che una volta impresse devono essere sviluppate, la sostanza del gesto è la stessa di oggi. Nello sguardo critico di Antonino Paraggi – che diventa tuttavia a sua volta fotografo ossessivo – si cela un’osservazione sorprendentemente attuale, che mette in luce una delle dinamiche psicologiche collettive più rilevanti del nostro tempo.
Narciso si innamorò, non già di se stesso, ma del suo riflesso come noi ci rispecchiamo sulla superficie ambigua di Instagram. Le foto sono diventate sicuramente un mezzo necessario per narrarsi, permettendo di proiettare un’immagine mediata dall’idea che ognuno vuole dare di sé stesso. Ridurre però l’ossessione a fotografare ogni momento della propria vita a un vezzo egoriferito non sarebbe del tutto onesto e rischierebbe di demonizzare una pratica che apparentemente ha a che vedere con un’esigenza umana tra le più essenziali: l’intima e sempre più impellente necessità di ricordare.
Il consumo di queste immagini è un vero e proprio sfogliare un menù.
Che né resta dello scoprire?
Uno studio del 2018, pubblicato nel Journal of Experimental Social Psychology, ha rilevato che le persone che fotografano un’esperienza dimostrano in seguito di averne un ricordo meno intenso e dettagliato rispetto a chi la vive senza filtri. Se infatti la foto ci illude di aver catturato l’esperienza nella sua totalità, ciò che quella invece è riuscita a catturare non è che una parte infinitesimale di ciò che compone l’intera esperienza. L’immagine sullo schermo restituisce un solo lato di un poliedro le cui facce tendono all’infinito. “Non è soltanto una scelta fotografica, la vostra; è una scelta di vita, che vi porta a escludere i contrasti drammatici, i nodi delle contraddizioni, le grandi tensioni della volontà, della passione, dell’avversione”, continua Calvino. E ancora, quando Antonino Paraggi, il protagonista ormai avvinto dalla sua ossessione, inizia a fotografare costantemente la sua compagna Bice, si scopre sempre insoddisfatto del risultato: “C’erano molte fotografie di Bice possibili e molte Bice impossibili da fotografare, ma quello che lui cercava era la fotografia unica che contenesse le une e le altre”. E questo può farlo soltanto la vita.
Una stanza non fotografata dove si sono consumati incontri fugaci d’amore di cui non abbiamo fotografie potrebbe farci morire d’infarto nel rivederla un giorno.
La classe di una scuola che abbiamo frequentato di cui non si hanno scatti, potrebbe farci venire occhi languidi come lagune se solo potessimo rivederla un istante.
Chi partiva per lunghi viaggi , missioni, guerre, teneva solo una piccola foto di chi amava nel proprio taschino.
Molto probabilmente quell’amore durava poi per sempre.
Il sacrificio ed il lavoro dell’ immaginazione e lo sforzo al ricordo sono un allenamento per l’anima ad amare, affinché questo sentimento, o l’importanza di momenti e luoghi non diventino “scrollabili”.
I compagni del militare si incontrano mantenendo saldi quegli occhi lucidi.
Quelle piccole foto sono veri e propri totem.
I luoghi non fotografati : per fretta, altri tempi, segreti o altre mille varianti , restano dentro di noi come pilastri fondamentali di chi siamo.
La realtà fotografata assume subito un carattere nostalgico, di gioia fuggita.
La vita vissuta per fotografarla è già in partenza commemorazione di sé stessa.
E se la commemorazione è celebrativa, solenne, univoca, la memoria deve invece essere labile, incerta, sfuggente.
Una fotografia rischia di darci una ricordo fisso, non mutabile nel bene o nel male nella nostra scatola della memoria, cosa che forse a volte sarebbe giusto fare.
Come sarebbe giusto fare anche dimenticare, lasciando andare qualcosa per avvicinarsi ad un età adulta con meno bagagli possibili.
La foto dunque sembra rendere eterno ciò che invece sarebbe oggetto di rimaneggiamenti successivi o dell’oblio; un posto assai dignitoso in cui mandare qualcuno o qualcosa.
Abbiamo amato il tanto amore, la tanta poesia, non ci si tira mai indietro davanti le tante lacrime e il tanto progresso.
Ma questo modo di vivere, è troppo per tutti.