Kavafis: il cantore della Grecia moderna e antica. Parole di virtù e passione tra i secoli.

“La genialità di Kavafis consiste nell’aver capito che l’uomo ellenico di un tempo corrisponde all’uomo europeo di oggi, e nell’essere riuscito a immergerci in quel mondo come se fosse il nostro.” Queste sono le parole di Eugenio Montale che illuminano – come meglio non si potrebbe fare – la particolare fusione tra passato e presente che sostanziala poesia del poeta. Ma probabilmente non corrisponderebbero più all’uomo di oggi, quello che Montale e Kavafis hanno avuto fortuna di non conoscere.
Sono poesie erotiche nelle quali il piacere e la sensualità del corpo risorgono come frammenti di memoria – nonostante l’impossibilità di fermare il tempo – fissi come immagini vivide ed eterne, mutandoli in plastici nella memoria. Sono poesie storiche che restituiscono vita e spessore a figure delle civiltà antiche, dall’epoca ellenistica a quella bizantina, evocando gesti, emozioni ed intimi di personaggi tanto lontani quanto vicini. Storia ed Eros sono due linee maestre, spesso allacciate, che conducono la sua vicenda letteraria. Lo spazio è atemporale e ci avvicina il più possibile al bello e al vero.
Il grande Kavafi, instancabile e raffinato
Se è vero che, come tutti i poeti veramente grandi, Kavafis non esiste al di fuori delle sue poesie, certo la sua vita – iniziata nel 1863 e spentasi nel 1933 – anche se priva di grandi eventi, esercita su di noi una forte attrazione e attenzione.
Il tracollo economico della famiglia e le vicende della giovinezza, tra la nascita ad Alessandria d’Egitto, il trasferimento in Inghilterra e quello a Costantinopoli, ci sono la scelta di immergersi per sempre in una città come Alessandria e la capacità quasi sacerdotale di recuperarne il volto perduto nei secoli, facendo risplendere manoscritti, ciclostilati, testi del luogo. La sua omosessualità non liberata, elegante, distinta, disegna la figura di un uomo raffinato, dominato da una vocazione assoluta alla poesia, che ha raggiunto la vera fama, purtroppo dopo la morte, ma che poi ha saputo conquistare stimatori di rango internazionale, ed è oggi riconosciuto come pietra miliare dei classici della modernità.
Verso la fine degli anni Quaranta, il giovane Pier Paolo Pasolini consegnava ai quaderni preparatori per il romanzo “Amado mio” un commosso omaggio a Costantino Kavafis. Infatti, il ragazzo di cui si innamora il protagonista si chiama Iasis, proprio come l’efebo celebrato nella poesia “Tomba di Iasis” composta da Kavafis nel 1917. Ma non fu solo Pasolini a comprenderne ed esaltarne la grandezza. La storia del poeta attraversa tutto il Novecento con la benedizione di Ungaretti e Enrico Pea, e dell’inglese Forster.
Una breve linea biografica e la sua attività poetica
Nono e ultimo figlio di Petros Kavafis e Karitlia Fotiadis, a 9 anni seguì la madre in Inghilterra, dove imparò l’inglese. Tornò poi ad Alessandria e, durante la rivolta xenofoba da parte del partito nazionale, tornò a Costantinopoli, città in cui non si allontanò più fino al giorno della sua morte, il 29 aprile, avvenuta per un gioco del destino nello stesso giorno della sua nascita.
Tutta, o quasi, l’opera di Kavafis è dedicata ad Alessandria, la “tana” breve come la chiama, da cui è impossibile fuggire. I vicoli loschi, i caffè, le stanze malfamate dove cercare l’amore, il mare di Alessandria, dove contempla il bel ragazzo di 25 anni che, liberatosi dal vestito color cannella chiara che il tempo aveva fatto scolorare, si bagna dove il sole del mattino. I mercati di Antiochia, la ricchezza, la sapienza, i piaceri del mondo greco, tutto all’interno delle sue parole, i fiori del Mediterraneo fra l’epoca di Alessandro Magno e l’invasione araba, le vesti di Cesarione, l’infelice figlio di Cleopatra, ire bizantine.
Alessandria: da crocevia di culture al declino
L’Alessandria in cui visse Kavafis fu un crocevia di commercio, razze, culture. La rinascita della città risale ai tempi della guerra di Crimea. La Guerra di secessione americana le regalò poi un primato temporaneo nel commercio del cotone. Tutto questo favorì l’arrivo di stranieri in cerca di fortuna: commercianti, banchieri, muratori, marinai, operai. Gli uomini lavoravano e l’apertura del canale di Suez rese ancora più prospera la costa mediterranea dell’Egitto. Si costruivano palazzi, banchi, alberghi, casinò, residenze signorili, caffè e pasticcerie, tutto in stile eclettico, un po’ parigino, la moda del tempo, con influenze orientali. Alessandria si abbellì e si riempì di luci.
Ma presto, molto presto, dovrà affrontare il suo declino. La rivolta del 1882, domata a colpi di cannone dagli inglesi, rovinò le case e le fortune della popolosa e ricca comunità greca. L’andamento dei commerci internazionali non andò più bene e lì iniziò l’inarrestabile decadenza della città, che accompagnò quella del poeta, che, impoverito, si manteneva con il solo stipendio di impiegato.

La poesia di Kavafis
La poesia di Costantino Kavafis cammina lungo un rettilineo, accompagnato da un lato dal presente e dall’altro dal passato, al centro noi, completamente divisi tra questi, narra la sua storia e quella di uomini antichi nati secoli prima, di cui tutti conosciamo le gesta. La razza mediterranea è un’unica razza meticcia con debolezze, passioni, grandi gesti. Gli uomini che narra rappresentano azioni umane ripercorribili, realizzabili. Non sono le profezie della maga Circe, la potenza di Zeus o l’incanto di Medusa. Noi siamo i figli di quegli stessi uomini che cambiarono la storia, ma noi, indeboliti, non riusciamo a cambiare, a volte, un semplice presente.
Non era magia quella che scorreva nelle vene di questi uomini, ma umanità, voglia di essere umani e vivi nel proprio tempo, con la propria storia. L’uomo moderno sarebbe diventato un debosciato?Probabile! Kavafis va ricordato o assolutamente conosciuto. Un’ottima compagnia per il giorno della liberazione da una dittatura che gli avrebbe impedito di essere e che avrebbe combattuto.