Palazzo Strozzi brilla grazie a Shine
«I am trying to capture the individual’s desire in the object, and to fix his or her aspirations in the surface, in a condition of immortality». È questo lo scopo di Jeff Koons, icona dello stile neo-pop e artista celebre per l’utilizzo di materiali lucidi, luminosi e riflettenti. Palazzo Strozzi prosegue la serie di mostre dedicate ai principali esponenti dell’arte contemporanea e ospita Shine, dal 2 ottobre 2021 al 30 gennaio 2022, dedicata a Koons e a cura di Arturo Galansino e Joachim Pissarro.
La brillantezza
Sviluppata assieme all’artista, l’esposizione ospita prestiti provenienti dalle più importanti collezioni e dai maggiori musei internazionali, presentando il concetto della lucentezza (shine, per l’appunto), come idea chiave per interpretare il percorso artistico del padre delle opere. La brillantezza è un fenomeno che cattura l’occhio e affaschina chi guarda e le installazioni si concentrano proprio sull’estetica dello splendore, considerando però anche il significato tedesco della parola Schein, ovvero “apparenza”. Attraverso il riflesso, lo specchiarsi, l’artista dimostra come la fruizione stessa dell’arte sia un’esperienza a tutto tondo ed estremamente profonda. Le innovative installazioni mirano a mettere in discussione quindi il rapporto dell’uomo con la realtà ma anche il concetto stesso di opera d’arte. Come afferma lo stesso Koons: «Il lavoro dell’artista consiste in un gesto con l’obiettivo di mostrare alle persone qual è il loro potenziale. Non si tratta di creare un oggetto o un’immagine; tutto avviene nella relazione con lo spettatore. È qui che avviene l’arte». Nell’attraversare la mostra, l’ospite viene impregnato di un vivido entusiasmo che le opere sembrano sprizzare dall’acciaio, così da uscirne fortificato mentalmente e spiritualmente, confermando il celebre pensiero dell’artista: «Penso che quando esci dalla sala, ne esca anche l’arte».
L’artista e la «lussuria visiva»
Koons, nato nel 1955 in Pennsylvania, è considerato uno degli eredi naturali di Andy Wharol ed esponente della pop-art statunitense, di cui negli anni ’90 diventa uno dei più celebri rappresentanti. Produce le sue prime sculture in acciaio inossidabile nel 1986, un materiale industriale di cui apprezza la durevolezza e grazie al quale fa parlare le sue opere, che – come lui stesso spesso afferma – «comunicano potere ed evitano il degrado». Oltre all’acciaio, lo specchio è spesso presente tra le sue installazioni, altro dispositivo di proiezione della realtà e dell’apparenza della società. Alla fine degli anni ’70 infatti, Koons si dedica alla creazione di lavori che proseguono la tradizione del ready-made duchampiano utilizzando oggetti quali spugne o giocattoli gonfiabili in vinile intorno a specchi laterali. Le sue opere estremizzano il concetto della decontestualizzazione degli oggetti dalla loro funzione primaria, riproponendoli come opera d’arte. Durante la prima mostra, del 1980, l’artista aveva infatti affermato che, se le aspirapolveri fossero stati azionati, l’opera avrebbe perso il suo valore artistico e sarebbe andata distrutta. La provocazione, il ready-made, la cultura pop, il kitsch e l’esasperazione del banale sono temi da sempre cari a Koons che, in un’intervista al Guardian del 2015, aveva parlato dell’esagerazione visiva delle sue opere così spiegando: «Si tratta di educare le persone, e un modo possibile di farlo è attraverso l’arte. Io provo ad educarle, con il mio lavoro, sul materialismo. Cerco di mostrare loro la vera lussuria visiva». Tra gli artisti più discussi del ventesimo secolo, Koons continua a generare forti reazioni ma, nel bene o nel male, purché se ne parli.