OCCHI ROSSI: la fotografia indipendente, con un occhio al presente e uno sguardo al futuro
Dal 30 Maggio al 2 Giugno gli affascinanti cunicoli del centro sociale Forte Prenestino, a Roma, hanno ospitato gli scatti fotografici, i pensieri, le storie e le speranze di numerosi fotografi, professionisti e non, dando vita alla quarta edizione di “Occhi Rossi, festival indipendente di fotografia e non solo”. “Non solo” perché non si tratta solo di foto: l’evento ha molte più sfaccettature, le immagini sono inframezzate da citazioni letterarie, installazioni artistiche, e allo stesso tempo accompagnate da una serie di attività. Nel corso di queste giornate si sono susseguiti spettacoli di vario genere, concerti e show, conferenze con fotografi professionisti e workshop; il tutto accessibile versando un contributo simbolico, da considerare più che altro come un rimborso spese per gli organizzatori. La fotografia fa da protagonista come rappresentazione artistica, mezzo d’informazione e oggetto di un sapere da condividere. La caratteristica più significativa di questa manifestazione è come il senso ne sposi la forma. Il fulcro dell’iniziativa consiste nel mettere a disposizione di chiunque sia interessato uno spazio, per esporre foto e per impartire corsi, in quello che si può considerare senza dubbio il luogo occupato autogestito architettonicamente più stimolante della capitale. Così, attraverso la libera partecipazione degli interessati, prende forma un evento collettivo che rappresenta a tutti gli effetti la possibilità di percorsi alternativi al normale rapporto di produzione e distribuzione del materiale fotografico. Lo stesso termine “Occhi rossi” indica il nome del festival e allo stesso tempo il collettivo che l’organizza, a cui si sono legati nella realizzazione dell’evento collettivi preesistenti, animati dalla passione fotografica ognuno con le sue particolarità, tra gli altri “Collettiva Andaiola”, “ArkFotoLab”, “Collettivo Fotosocial”, “Micro Photographers” e “Synap(see)”. L’elemento comunitario e la gestione orizzontale sono centrali, perciò, sia che si prenda parte alla manifestazione come spettatori sia come attori – distinguo che in un’occasione del genere diventa volutamente sempre più labile – è necessario un atteggiamento d’apertura e di accettazione nei confronti dell’altro, della differenza. Il festival si dichiara apertamente antisessista, antirazzista, antispecista e infine, chiaramente, antifascista.
Occhi Rossi si propone di rompere la netta separazione tra lo spettatore e l’attore della manifestazione artistica, ripensando lo stesso rapporto dell’esposizione con il territorio. Per mettere in pratica un tale intento questa edizione si è svolta in due fasi, la prima dal titolo paradigmatico “Le mostre invadono la città”. In questo primo momento, che ha avuto luogo da marzo a aprile, le foto sono state messe in mostre in vari luoghi non convenzionalmente legati all’arte e alla cultura, in giro per l’intera città, attraverso la collaborazione e le proposte dei fotografi e degli stessi possessori dei locali. Si è dimostrata praticamente l’efficacia di un qualsiasi luogo come centro di diffusione artistica, dal fornaio al parrucchiere all’edicola, dove un pubblico di non addetti ai lavori si è confrontato con una serie di immagini, variegata e stimolante. Gli stessi scatti hanno poi trovato posto tutti insieme all’interno del Forte prenestino, dove si è svolta la seconda fase, per l’appunto il “Contenitore collettivo”. La pluralità che si riscontra nei luoghi coinvolti si ritrova anche tra gli stessi espositori, che spaziano dall’identità collettiva al singolo, professionista o amante della fotografia, di provenienza italiana o internazionale; da sottolineare la qualità del contributo di autori mediorientali come gli iraniani Ayoub Naseri e Houtan Nourian.
Come naturale conseguenza di queste premesse le immagini esposte ci riportano una varietà di luoghi e tematiche. A partire da reportage su paesi lontani dalla nostra realtà quotidiana, come l’India, la Cina, il Sud America, fino ad arrivare a sezioni interamente dedicate a quartiere della città, come Tor Bella Monaca o l’Esquilino. Alcuni di questi scatti si riallacciano al filone generale della rielaborazione degli spazi, ponendo l’accento sull’immensa potenzialità inesplorata dell’archeologia industriale o, più specificamente, sulla riabilitazione di quartieri periferici disagiati, come appunto Tor Bella Monaca. Altre immagini riflettono sulla tematica generale dei diritti umani, evidenziandone lesioni lampanti, come nel caso dei trattamenti riservati agli extracomunitari in paesi che si ritengono civilizzati, come il nostro, o guardando lontano, alla disumanità dello stile di vita dei cercatori d’oro in Sud America. Interessanti e drammaticamente attuali gli scatti di “De-generazione, diritti immaginati”, a cura di Gianpiero Tebano, in cui ritratti di giovani precari sono messi a confronto con quelli dei loro genitori, per cui il diritto al lavoro era una certezza. Presente anche l’ambito della sperimentazione artistica, come nelle immagini di Elisabetta Patera, nella sezione “Omicron Ceti. Raw Water”. Un esperimento sulla reazione di diversi materiali alla luce attraverso l’utilizzo di una particolare tecnica, l’impressione degli oggetti direttamente sulla carta che ne evidenzia le varie rifrazioni della luce. Ripensando così il rapporto tra fotografia e realtà, intervenendo sul processo in camera oscura, si genera un’immagina più che fotografica, con le parole della stessa autrice: “un’altra dimensione visiva che la luce può restituire scrivendo le forme”.
Infine uno sguardo critico, non convenzionale e multidirezionale sul presente, che lascia però spazio al prefigurarsi di un futuro diverso, si trova nella sezione centrale del festival: “Il futuro immaginato”. Tra gli altri spiccano gli scatti di “Invading the vintage”, realizzati dall’illustratore Franco Brambilla, espressione del fenomeno internazionale della Geek Art. Nelle foto il passato malinconico delle cartoline degli anni 50/60 subisce l’invasione di personaggi di un futuro immaginato, come i super eroi dei cartoni animati o i protagonisti di serie futuriste come Starwars. La celebrazione di un futuro caratterizzato da macchine volanti e astronavi, come può esserlo nei sogni di un bambino, che attende speranzoso la realizzazione di questo mondo pervaso dagli effetti, positivamente stupefacenti, di una tecnologia inarrestabile, che fa i conti però con la consapevolezza dell’impossibilità di una tale realizzazione. Esempio invece di un futuro realmente migliore, che muove già i primi passi, è il caso di “Metamorfosi/Permanenze: il villaggio di Corricelli”, ad opera di Filippo Bardazzi. Il fotografo documenta la realtà di questo villaggio toscano, nella provincia di Prato, dove è in corso il progetto di costruzione di un Ecovillaggio, a cura dell’associazione “Basilico”. Sull’area di un insediamento abbandonato immerso nella natura alcune decine di persone si impegnano nella ricostruzione delle vecchie abitazioni e nella costruzione di altre, che siano ecosostenibili. Il villaggio rappresenta la prova concreta che un altro stile di vita è possibile, senza elettricità e acqua corrente, coltivando il terreno secondo i principi dell’agricoltura naturale; a tutti gli effetti una realizzazione efficace, che fa ben sperare, della cosiddetta filosofia della decrescita.
Occhi Rossi si attesta pienamente con le sue particolarità come un evento socialmente e culturalmente rilevante, a cui si può solo augurare un lungo corso negli anni a venire.
di Anna Dotti
26 giugno 2013