Dispositivi sensibili: il nuovo programma multidisciplinare del Mattatoio

Tra le tante riaperture del momento, anche gli spazi espositivi dicono la loro: il Mattatoio di Roma lancia Dispositivi sensibili, il nuovo progetto curato da Angel Moya Garcia, incentrato sulle pratiche performative contemporanee. L’idea si inserisce nell’ambito della programmazione dell’Azienda Speciale Palaexpo per il triennio 2020-22, dedicato alla convergenza tra metodi, estetiche e pratiche dell’arte visiva e delle arti performative, come si legge sul sito del Mattatoio. Le attività ospitate nel Padiglione 9b dell’edificio saranno coordinate con quelle de La Pelanda e con il Tavolo di Programmazione dell’Azienda, attraverso i dispositivi realizzati dagli artisti.

Il progetto e le performance
Il nuovo curatore, eletto lo scorso marzo come responsabile della programmazione culturale e della conduzione degli eventi al Mattatoio, prevede lo sviluppo di un piano di lavoro che porti in evidenza la multidisciplinarietà delle performance d’arte contemporanea. Finalmente, dopo anni passati ad essere definita “di nicchia”, questa forma di espressione artistica viene inserita come evento protagonista di un progetto. La performance art è infatti da sempre un tipo di manifestazione interdisciplinare compiuta da uno o più artisti, generalmente dinanzi a un pubblico, che eseguono azioni istintive o programmate. Il performer può anche essere assente al momento dell’atto, che in quel caso viene presentato tramite i media. Spesso, durante le prestazioni, si instaura una relazione tra l’artista e il fruitore, il quale viene chiamato a partecipare da spettatore passivo, diviene attore dell’evento. Non esistono precisi limiti spazio-temporali da rispettare, come ci insegna Marina Abramović con The artist is present (Moma, 2010), performance durata ben tre mesi, durante i quali l’artista ha incontrato e guardato negli occhi 750 persone diverse, sedute dinanzi a lei ad un tavolo, lasciandola totalmente inespressiva. Questo tipo di arte nasconde significati sottesi, concetti trattenuti: ricordiamo Joseph Beuys che in I like America and America likes me (René Block Gallery, 1974) si fa portare in galleria avvolto in un sacco di feltro – materiale al quale l’artista era molto legato, dall’episodio in cui, durante la guerra, venne curato da un gruppo di nomadi in Crimea che lo salvarono avvolgendolo nel grasso e pelli di feltro – e condivide la stanza con un coyote per otto ore, nell’arco di tre giorni. Alla fine del tempo passato in compagnia dell’animale, Beuys lo abbraccia e si fa poi portare via senza aver poggiato piede a terra. Il significato era chiaro: isolarsi con il simbolo della vera America, il coyote, canide indigeno del nord del continente. In entrambi i casi gli artisti utilizzano il proprio corpo e lo relazionano con il tempo, lo spazio e il pubblico presente. La loro semplice azione diventa l’opera stessa.
Si parte a luglio con Andrea Galvani
A fare da sfondo, quindi, all’intensa contaminazione di linguaggi contemporanei, sarà il Mattatoio con un programma settimanale variegato in cui gli artisti si alterneranno con mostre e pratiche performative, incontri, talk, seminari, laboratori, lezioni e dibattiti. Il tutto partirà dai dispositivi, come spiegano gli organizzatori: «ognuno dei quali avrà la capacità di catturare, intercettare e contestualizzare le problematiche, le necessità e le urgenze degli individui, che si ritroveranno non più immersi in una percezione emotiva statica, ma partecipi in un approccio di fruizione operativa. Una serie di piattaforme stratificate che si articolano come contesti di azione formalmente definiti e allo stesso tempo come contenitori continuamente sollecitati». Un approccio sicuramente innovativo e diversificato che rappresenta i cambiamenti quotidiani attraverso un processo artistico. Il primo appuntamento è a luglio con una mostra dell’artista veronese Andrea Galvani – classe 1973 – che unirà fotografia, scultura, disegno, performance, video e audio istallazioni, documentando azioni collettive e fenomeni fisici. Gli spettatori potranno così, attraverso l’esperienza del percorso di contaminazione multidisciplinare, essere educati a un giudizio critico nei confronti delle diverse esperienze artistiche e forse sarà la volta buona in cui capiranno che l’arte contemporanea ha un valore e che no, non potevano farlo anche loro.