Germano e il “Metodo Celant”. In ricordo di un Maestro

«Se ho capito qualcosa della vita lo devo al biliardo» dichiarava in un’intervista di appena tre anni fa su Repubblica. Lo ricordiamo oggi, come uno dei più grandi critici d’arte del contemporaneo, colui che ha reso ricca l’arte povera e che ha coniato, senza forse saperlo, un nuovo metodo per approcciarvi.

Gli Anni Sessanta e gli esordi
Si forma in una Genova che gli sta un po’ troppo stretta e muove qui i primi passi nel mondo dell’arte degli anni Sessanta, Germano Celant, celebre critico e curatore, venuto a mancare il 29 aprile scorso all’età di ottanta anni. Famiglia di origini modeste, “cultura in casa pochina”, come lui stesso ha affermato parlando di sé, si iscrisse a Ingegneria per volere del padre, ma dopo un anno aveva mollato per seguire il sogno di studiare Lettere. Da qui si inserì nel giro dei pittori dell’epoca, conobbe Eugenio Battista e divenne suo allievo. Erano gli anni della rivoluzione culturale in Italia, gli studenti manifestavano chiedendo metodi di insegnamento innovativi e critici, contro una didattica da svecchiare, troppo uniforme al sistema. Lo stesso sistema da cui Celant volle evadere.
Nel 1967 curò una mostra alla Galleria La Bertesca di Genova e l’anno dopo un’altra esposizione presso la Galleria de’ Foscherari di Bologna. In entrambe esponevano artisti emergenti come Giovanni Anselmo, Jannis Kounellis, Marisa Merz, Pino Pascali, Michelangelo Pistoletto e altri: erano i primi rappresentanti della cosiddetta Arte povera. Il termine, coniato dal giovane critico in Arte povera. Appunti per una guerriglia (dicembre 1967), si riferisce ad opere realizzate con materiali non raffinati, prodotti industriali o elementi naturali. La nuova corrente pone l’accento sugli oggetti di uso quotidiano, non in senso duchampiano questa volta, ma secondo una visione dell’arte come esperienza, una concezione antropologica che – per citare il catalogo della Galleria de’ Foscherari – diviene “arte come stimolo a verificare continuamente il nostro grado di esistenza (mentale e fisica)”.

Il Metodo Celant
Ed è dalla visione esperienziale dell’arte che deriva la sua ricerca di interazione e connessione fra opera, critico e fruitore e lo stimolo a incoraggiare momenti di confronto con il pubblico della mostra. In quest’ottica si inserisce così la grande importanza che Celant dà all’educazione e alla didattica nel percorso di conoscenza dell’arte e alla multidisciplinarietà che ne deriva: il collegamento di diverse forme espressive tra loro, tra cui quella da lui prediletta, regala al fruitore un’esperienza assoluta e totalizzante.
Nel metodo del maestro si rispecchia una critica persuasiva, coinvolgente ma allo stesso tempo concreta e complessa, tanto da giungere a definire l’Arte povera “un’espressione così ampia da non significare nulla”. Non un linguaggio pittorico bensì un’attitudine di vita, un grido di protesta, una voce fuori dal coro accademico, derivante da un contesto socio-culturale fatto di abilità, astuzia, intelligenza e innovazione, proprio come il mondo del biliardo: “su quei tappeti verdi che non avevano niente di ecologico, ho imparato le strategie fondamentali della vita”.