13 Reasons Why: la violenza che la fa da padrona
Siamo stati tutti quanti adolescenti: questa rappresenta una di quelle certezze che non si può scalfire in nessuna maniera, nemmeno tentando di cancellare i ricordi più brutti di quel periodo, perché essi stanno proprio a testimoniare l’esistenza reale di quegli anni.
IL LICEO
Forse non ci ricordiamo tutti i dettagli di quei cinque eterni anni in cui siamo entrati e usciti ogni giorno dalla porta del nostro liceo, odiando sempre più quella routine che ci logorava il cervello e il fisico, ma che come spesso capita, risulta così amara quando la si vive eppur così dolce quando la si perde. Prima ancora del lavoro, prima ancora della famiglia, un ragazzo / una ragazza sono costretti 5 o 6 ore al giorno dentro quelle quattro mura, a vedere le stesse facce (magari qualcuna cambia, ma tendenzialmente per bene che vada rimangono le medesime) e ad impegnarsi ogni giorno di più, perché la bocciatura pende sulla testa come una spada di Damocle.
Da questo scenario che ha rappresentato una parte significativa della vita di ciascuno di noi, il cinema e la letteratura, insieme con i romanzi, traggono spunto e individuano come protagonisti delle loro storie giovani adolescenti nel fior fior della crescita. “13 Reasons why” è un prodotto della tv, anzi meglio dire di quell’immenso colosso che oggi è Netflix e che ruota intorno non soltanto al concetto di liceo o scuola superiore, ma si concentra principalmente sui drammi che ogni giovincello deve attraversare nel corso di quegli anni bui e scende più in profondità, nel torbido delle menti umane.
LA SERIE TV
La protagonista Hannah Baker è bella, bellissima: i suoi occhi sono come brillanti, i suoi capelli lunghi mossi la rendono selvaggia e pura, il suo fisico con le sue rotondità appena accennate la rende incredibilmente affascinante per qualunque maschio in piena tempesta ormonale. Eppure, eppure.
Nonostante tutto questo, Hannah Baker è la vittima numero uno di quel fenomeno che ad oggi è sulla bocca di tutti: il bullismo. Sì, ma non quella forma leggera di sfottò che forse ci ricordiamo anche noi, non solo quelle battute fatte perché avevi la maglietta chiara e faceva caldo e l’ascella sudata ti metteva in imbarazzo: no, qui stiamo parlando di violenza in tutte le sue sfumature (molto più numerose delle 13 ragioni del titolo).
Violenza fisica, psicologica, sessuale, verbale, molesta, arrabbiata, degli amici e della famiglia, dei fraintendimenti che a 16 anni sono all’ordine del giorno soprattutto quando si cominciano a provare i primi sentimenti verso qualcun altro. Hannah Baker perde e questo perché rimane sola e la sua unica soluzione è togliersi la vita, tagliandosi le vene nella vasca da bagno e causando un dolore inimmaginabile ai genitori e non solo.
LA VIOLENZA HA PRESO IL SOPRAVVENTO
Al di là della trama e del coraggio con cui la serie tv affronta una quantità di argomenti così delicati e difficili che non incappare in qualche errore sarebbe stato impossibile, l’originalità della trama si rovina nella seconda stagione (la fonte principale di ispirazione è il romanzo omonimo, che però terminava la sua storia con la prima stagione… ma non vuoi guadagnare ancora qualcosina?), che cerca di dare una memoria dignitosa al personaggio principale, pur non riuscendoci del tutto.
Non parliamo di censura o di voler nascondere ciò che in realtà oggi succede davvero. Però ci sono alcune criticità che questa stagione ha dimostrato di avere: prima fra tutte, Clay Jensen, l’eterno innamorato di Hannah Baker che non fa altro che lamentarsi continuamente. Una lagna infinita, fatta di visioni di fantasmi (ecco, questo distacco dalla realtà l’ho trovato addirittura ridicolo, dal momento che la serie affonda profondamente i piedi nella realtà), urla strazianti in scatti di nervosismo e un’empatia che manca già nella sua figura e che dunque non può scatenare negli spettatori.
In secondo luogo, l’eccessiva lungaggine sulle scene di violenza: siamo tutti d’accordo che purtroppo gli stupri vengono compiuti quotidianamente dalle bestie (perché no, non si tratta di essere umani), ma serve davvero per sensibilizzare, indugiare così a lungo su un atto così brutale? Questa non è reticenza: nessuno vuole vedere un gesto come una violenza sessuale non per nascondersi dietro ad un dito, ma semplicemente perché fa male anche solo immaginarlo.
Dunque ben vengano le campagne di sensibilizzazione su questo argomento, gli sportelli che danno voce alle vittime che non sanno come affrontarlo; lasciamo però indietro tutto quello che i video possono far vedere, anche se di finzione si tratta, perché spacca al cuore a chi guarda, benché consapevole che tali gesti avvengano ogni giorno. Forse più utile sarebbe far vedere il colpevole di tali gesti che subisce la giusta punizione e non che riesce a farla franca grazie alla sua posizione sociale.
Infine (anche se la lista potrebbe essere ben più lunga) la furbizia dei produttori / sceneggiatori: la storia di 13 Reasons Why ruota intorno ad Hannah Baker, tutti i personaggi coinvolti hanno qualcosa da raccontare su di lei e dunque come può andare avanti la storia se quel capitolo è ormai bello che chiuso? Questo voler proseguire a tutti i costi perché l’audience è sempre alto, rischia di snaturare una storia ben raccontata, che aveva dalla sua un nobile obiettivo (in parte rispettato), alla quale però è stato messo un punto bello grande, già un anno fa.
Rebecca Cauda