INTERVISTA | Ilaria Tuti e i suoi “Fiori sopra l’inferno”

La protagonista dell’intervista di oggi è Ilaria Tuti, scrittrice esordiente friulana. Volto nuovo del panorama letterario italiano (e non solo), con il suo primo romanzo “Fiori sopra l’Inferno” ha conquistato all’unanimità la casa editrice Longanesi, per la sua ambientazione suggestiva e inquietante, per la creazione di un personaggio femminile come Teresa Battaglia, tostissima e intelligente e per la delicatezza con la quale affronta nelle sue pagine un omicidio dalle tinte nere, anzi nerissime. La sua opera prima arriva anche al Salone del Libro di Torino 2018, che la vedrà protagonista domenica 13 maggio per un’ora di chiacchierata alle ore 13:30, presso il Caffè Letterario.
Ciao Ilaria, benvenuta su 2duerighe. La prima domanda riguarda Teresa Battaglia, una donna vera, sotto molteplici punti di vista, non è la solita detective bella e dannata, sempre impeccabile nel trucco/parrucco. Come sei riuscita a sviluppare il suo personaggio? Ti sei ispirata a qualche persona realmente conosciuta? [La domanda viene spontanea perché questa detective è così diversa da altre incontrate in altri romanzi. È una donna vera, con un carattere forte e determinato. Questo non per suggerire che le donne reali siano solo quelle più morbide e con qualche chilo in più, ma almeno negli inseguimenti non ci sfodera l’anfibio da militare che fa tanto soldato Jane e nemmeno il tacco 12, che risulta davvero poco credibile].
Ciao, grazie per l’invito a questa intervista.
Teresa è contraddittoria, come tutti noi (anche se spesso non ce ne rendiamo conto). Sono le contraddizioni a renderla reale, tridimensionale: è materna pur non essendo mai diventata madre, è respingente e accogliente allo stesso tempo, saggia e inquieta, determinata e compassionevole. Per “disegnarla” mi sono ispirata alle donne che incontro tutti i giorni: in famiglia, nel lavoro, quando cammino per strada. Alla fine del romanzo, lo scrivo: questa storia è dedicata anche a tutte le donne, alle tante Teresa Battaglia che ogni giorno si svegliano un po’ più stanche, magari anche abbattute, ma che riescono sempre a trovare le risorse per rimettersi in gioco dopo ogni battuta d’arresto.
Perché hai preferito ambientare il tuo romanzo in un paesino immaginario e non in una grande città, in cui la criminalità è maggiore? Anche se la vita di un piccolo paese è all’apparenza più semplice e tutti sanno tutto di ciascuno, paradossalmente questa parvenza di tranquillità può nascondere segreti mai confessati che possono sfociare in crimini violenti?
In una grande città la criminalità è maggiore, è vero, ma nella mia storia non si parla di malavita e delinquenza, si parla di un Male diverso, più grande e che colpisce ovunque, dal quale non ti puoi sentire mai al sicuro. Gli omicidi non sono mossi da un intento criminale lucido e basilare (denaro, rabbia, vendetta), ma da una motivazione psicologica profonda, per quanto malata: parliamo di un assassino seriale. In questo senso – lo vediamo anche nei fatti di cronaca – il killer può colpire ovunque, anche in provincia, in paesini fino a quel momento tranquilli.
Le piccole comunità sembrano più misteriose, anche per l’atteggiamento di difesa che un’indagine solleva, ma io sono convinta che ogni aggregazione umana – sia essa quella di un paesino di montagna o del quartiere di una grande metropoli – davanti a una minaccia al proprio status quo reagirebbe allo stesso modo. Indagare significa cercare la causa del male, mettere in discussione l’ambiente in cui quel male di è formato e anche chi lo aveva sotto gli occhi e non ha fatto nulla per fermarlo.
Nel tuo romanzo il rapporto tra Teresa Battaglia e il commissario Marini evolve nel tempo, grazie anche alla capacità di Marini di capire la detective, soprattutto quando non starle con il fiato sul collo. Questo legame è più improntato su un rapporto di amicizia e di fedeltà o è più simile a un rapporto madre/figlio?[La domanda nasce non tanto per il mero piacere di fare gossip, ma più che altro per capire il tipo di rapporto che una persona come Teresa Battaglia riesce ad instaurare con un uomo che sembra quasi voler formare a livello lavorativo con le stesse attenzioni di un genitore].
Tra Teresa e Marini non è iniziata nel migliore dei modi. Lui ha sbagliato tutto con lei. Teresa, però, è incuriosita dal nuovo arrivato. Vicina alla pensione e con un amore grande per il suo lavoro, è sempre alla ricerca di menti da formare. Anche il suo atteggiamento, per quanto pungente, è improntato a “svezzare” i ragazzi della sua squadra. Il rapporto che la lega a loro è senz’altro quello madre/figlio, ma non in modo melenso e stucchevole. Teresa è materna in modo istintivo, primigenio. È una leonessa che ruggisce quando i cuccioli si allontano troppo o sbagliano. A volte dà anche qualche zampata.
Nello svolgimento della storia, Teresa Battaglia dice “Tutto ruota intorno ai bambini”: solo lei è capace di stabilire un nesso intenso e di completa fiducia con loro. Da dove nasce questa sua sensibilità, dipende unicamente dalla sua formazione professionale o da qualche evento particolare che ha interessato la sua vita personale? [Nel libro si intuisce che Teresa Battaglia ha subito un aborto e di quanto soffra, credo sia anche questo a permetterle di creare un rapporto di completa fiducia con i bambini coinvolti nella storia].
Teresa ha fatto del dolore un fuoco che alimenta la sua anima. Lo ha mutato in compassione, in un’emozione coinvolgente e positiva. È riuscita a non farsi avvelenare, è rimasta pura. Questa purezza le permette di trovare un’affinità elettiva con i bambini, che la percepiscono in lei. Teresa li paragona a spiriti antichi: pur venuti al mondo da poco, sono capaci di attraversare la vita, comprese le avversità, come se fosse una grande avventura. I bambini sono gli unici a non temere la foresta – simbolo potente del mistero che ci circonda – perché non sono abbastanza addomesticati da temerla. Hanno conservato qualcosa di selvatico, intatto, che li eleva al di sopra dell’umano, in una dimensione ancora in parte spirituale.
Per concludere, l’assassino materiale di questa storia, non la mente dei piani omicidi, è a sua volta una vittima: come ti è nata l’idea che ha dato vita a un personaggio che, nonostante compia azioni così violente, riesce a provocare una sorta di empatia nel lettore?
Avevo bisogno di un personaggio antagonista che fosse forte quanto Teresa. Per forza intendo intensità. Non mi interessava proporre un assassino lucido, spietato, egocentrico. Volevo qualcosa di diverso, quasi emozionante. Volevo mescolare le carte del Bene e del Male, rendere il confine ancora più labile. Ho scavato nella psicologia umana, in studi del passato, e ho trovato un fatto – vero – che è stata la scintilla che ha fatto brillare questa storia nella mia mente. Alla fine, come Teresa, anch’io ho provato empatia per lui.
Rebecca Cauda