EGITTO, MANIFESTANTI INFEROCITI ASSALTANO L’AMBASCIATA ISRAELIANA: 3 MORTI E OLTRE 1000 FERITI

di Roberto Mattei
Hanno abbattuto il muro a protezione della sede diplomatica, dando vita a una vera e propria battaglia urbana come segno di protesta per l’uccisione di cinque guardie egiziane avvenuta lo scorso mese di agosto. Rimpatriato l’ambasciatore israeliano assieme ai familiari e tutto il suo staff.
E’ scoppiata questa notte, la rabbia dei manifestanti egiziani, che da circa tre settimane presidiavano la zona antistante l’ambasciata israeliana al Cairo, per protestare contro l’uccisione di cinque soldati egiziani, avvenuta lo scorso 18 agosto.
Per dovere di cronaca, ricordiamo che le forze israeliane avevano sconfinato nel deserto del Sinai, nel tentativo di neutralizzare alcuni miliziani palestinesi provenienti da Gaza che lo stesso giorno si erano resi protagonisti di un attacco missilistico contro Israele. In risposta a tale offensiva, gli israeliani avevano lanciato dei raid aerei che avevano portato alla morte dei militari egiziani. Ragazzi poco più che ventenni, con famiglie e figli a carico, uccisi per errore. Questa disgrazia aveva scatenato l’ira del primo ministro egiziano Essam Sharaf che, attraverso un comunicato pubblicato sulla sua pagina ufficiale di Facebook, aveva fatto sapere che la morte dei giovani soldati non sarebbe rimasta impunita. «Il sangue degli egiziani è troppo importante per essere versato senza risposta» – aveva detto il rappresentante del governo egiziano – «La nostra rivoluzione gloriosa è avvenuta perché il popolo egiziano possa riacquistare la sua dignità all’interno come all’esterno, ciò che era accettato in Egitto prima della rivoluzione, oggi non lo sarà più». Sharaf si riferiva senza alcun dubbio all’ex presidente egiziano Mohammed Hosni Mubarak, accusato dal popolo di non aver mai mostrato il proprio disappunto e sdegno dinanzi al sangue versato dai sui concittadini senza giusta causa.
Così, dal 19 agosto scorso, in pieno Ramadan, migliaia di persone di tutte le età, si erano stabilite permanentemente dinanzi la sede diplomatica israeliana per gridare il proprio disappunto: «l’Ambasciatore israeliano se ne deve andare, il Governo egiziano deve porre fine a qualsiasi tipo di cooperazione con Israele», queste erano in sintesi le richieste della folla. A nulla erano valse le scuse del Presidente israeliano Shimon Peres per l’accaduto, resosi tra l’altro disponibile a investigare sulle reali dinamiche dell’incidente. Così, alla fine, l’ira di attivisti, pacifisti e semplici cittadini ha preso il sopravvento e dopo aver trattenuto il rancore per tanti giorni, si è fatta avanti la violenza, con scontri e sparatorie che fino ad oggi hanno provocato tre morti e più di mille feriti. Tutto ha avuto inizio quando i manifestanti hanno buttato giù il muro di cinta, costruito due giorni prima dalle autorità egiziane a protezione della rappresentanza diplomatica, per violare l’extraterritorialità, arrampicarsi sull’edificio ed entrare dalle finestre. Poteva essere una strage se non fossero intervenute subito le forze di sicurezza egiziane, traendo in salvo sei funzionari dell’ambasciata e rimpatriando d’urgenza, per ragioni di sicurezza, l’ambasciatore israeliano Yitzhak Levanon assieme a una ottantina di persone tra funzionari e relativi familiari.
Questa mattina, nonostante le proteste si siano spostate davanti all’Università, a pochi passi dalla sede diplomatica, la zona intorno all’ambasciata sembra un teatro di guerra, con copertoni bruciati, auto ribaltate, pietre sparse un po ovunque e una massiccia presenza delle forze dell’ordine in assetto antisommossa. La tensione tra i due paesi è ora alle stelle. Barack Obama ha espresso tutta la sua preoccupazione e invitato il governo egiziano a rispettare gli impegni internazionali a tutela dell’ambasciata israeliana. Il premier israeliano Benyamim Netanyahu, pur definendo le violenze della scorsa notte «un incidente molto serio», ha cercato di sdrammatizzare ricordando che tuttavia è stato evitato il peggio e ringraziando in ultimo l’intervento del presidente americano.