Chi è il killer di Melania? La “chimica” inchioda Salvatore Parolisi, la “matematica” lo assolve
di Roberto Mattei
Il caso di Melania Rea, la 29enne di Somma Vesuviana scomparsa il 18 aprile scorso da Colle San Marco di Ascoli Piceno e ritrovata morta, assassinata brutalmente, due giorni dopo a Ripe di Civitella, nel teramano, non finirà mai di stupirci e lasciarci con il fiato sospeso. Sembra di assistere a una di quelle serie televisive americane del tipo CSI dove la polizia scientifica si avvale dei moderni mezzi offerti dalla tecnologia e dalla scienza per collegare i crimini ai loro esecutori. Indagini condotte non più con la “lente di ingrandimento”, alla Sherlock Holmes, ma attraverso esami chimico-biologici, geologici, genetici, biomedici e tossicologici, in grado di scavare nell’identità sconosciuta dei luoghi e delle persone in maniera irreprensibile.
E’ stato così per tutti i delitti di questi ultimi anni, da Meredith Kercher a Yara Gambirasio, senza dimenticare neanche quei fatti “datati” riesaminati con le moderne tecniche investigative “al microscopio”, come l’omicidio di Simonetta Cesaroni e quello di Elisa Claps. Ieri l’altro noi di 2duerighe avevamo provato a ricostruire questa triste vicenda basandoci sulle testimonianze riportate dai media e sui tempi di percorrenza delle strade che conducono al luogo del delitto, utilizzando Google Maps. Il risultato ci aveva indotto a scartare l’ipotesi che Salvatore Parolisi fosse l’assassino della moglie, visto l’esiguo tempo a disposizione per commettere il reato e attuare tutto ciò che è stato fatto sulla scena del crimine, considerando inoltre che aveva la figlioletta al seguito. Nuove indiscrezioni sui risultati finali dell’esame autoptico condotto sul corpo di Melania dall’anatomopatologo dott. Adriano Tagliabracci, ci presentano uno scenario agghiacciante, ancora più difficile da comprendere e risolvere.
L’esame post-mortem avrebbe rivelato tracce di DNA del caporalmaggiore sulle labbra e le gengive della vittima, risalenti a pochi istanti prima della morte. Secondo il medico legale, se questi “residui” risalissero a molto tempo prima, i movimenti della bocca e la saliva della donna avrebbero provveduto a eliminarli. L’autopsia avrebbe anche riscontrato la presenza di caffeina nello stomaco della giovane, cosa che avvalorerebbe l’ipotesi che la stessa sia stata uccisa prima delle 15 e vi spieghiamo anche perché. La caffeina è un alcaloide naturale, una sostanza organica di origine vegetale dotata di grandi effetti farmacologici, che viene completamente assorbita nello stomaco e nel tratto iniziale dell’intestino entro i primi 45 minuti dall’ingestione. Il fatto che ne siano state rinvenute tracce nel corpo di Melania fa ritenere plausibile che la giovane sia stata uccisa in un arco temporale ancora più ristretto rispetto a quello diffuso inizialmente, che inquadrava l’omicidio tra le 14 e le 15.30. La donna avrebbe consumato un caffè e poco dopo, intorno alle 14.10-14.55, sarebbe uscita di casa con il marito e la bambina. Stando a questi orari, la digestione dell’alcaloide sarebbe dovuta avvenire entro le 14.55-15.00, ma grazie ai risultati della necroscopia, ora sappiamo che la 29enne è morta prima. Giusto il tempo di partire e arrivare sul luogo del delitto, visto che nel nostro precedente articolo avevamo stimato l’orario di arrivo a Ripe di Civitella alle 14.35. Una volta giunta nel bosco delle casermette, Melania si sarebbe abbassata volontariamente i pantaloni, le calze e gli slip per fare pipì.
Durante questo frangente sarebbe stata assalita alle spalle e uccisa. L’anatomopatologo ha constatato inoltre che il trucco della donna era ancora intatto e di conseguenza la stessa non avrebbe pianto. Si esclude così che la 29enne possa aver subito minacce da parte di qualcuno armato di coltello e si scarta definitivamente anche l’ipotesi che gli indumenti siano stati tirati giù dall’assassino nel tentativo di impedirle di fuggire, poiché se così fosse stato, gli stessi sarebbero risultati strappati. La donna, insomma, era tranquilla e spensierata ed è stata aggredita all’improvviso mentre era intenta a soddisfare quel suo bisogno fisiologico. A confermare questa ricostruzione dei fatti anche le tracce di sangue rinvenute all’interno dei pantaloni che proverebbero appunto che Melania è stata accoltellata proprio quando aveva gli indumenti abbassati. Stando a quanto indicato sinora il giallo sembrerebbe risolto. Purtroppo non è così. La cosa si fa ancora più ingarbugliata poiché l’esame post-mortem evidenzia anche il rinvenimento di DNA femminile sotto l’unghia dell’anulare sinistro della vittima. Proprio su quel dito, la 29enne era solita portare la fede nuziale e l’anello di fidanzamento che venne ritrovato poco distante dal cadavere, sulla scena del crimine. Si pensò inizialmente che Melania l’avesse perso durante la lotta con l’assassino, visto che ultimamente era dimagrita e le stava un po largo, oppure che se lo fosse sfilato volontariamente gettandolo via per sfregio contro il suo aggressore.
Questo indizio fa pensare che l’anello possa esser stato sfilato da una donna, forse l’assassina o addirittura una complice di Parolisi. «Si chiede l’arresto di un uomo, ma gli accertamenti lasciano intendere che l’omicidio è stato compiuto da una donna» – sostengono i difensori del militare gli avvocati Walter Biscotti e Nicodemo Gentile – «Nelle prime righe delle quasi cinque pagine di questi chiesti dai pubblici ministeri al medico legale si chiede di verificare se ci sono altri DNA oltre a quelli di Salvatore e Melania e la risposta a questo quesito è quasi mascherata in due righe nelle conclusioni del perito». Che le moderne tecniche di indagine scientifica non siano poi così infallibili? Effettivamente, pur constatando che oggigiorno basta una sola cellula, ricavata da un frammento di tessuto o altro, per recuperare il profilo biologico di un assassino e che con le moderne analisi genetiche è possibile stabilire il sesso, l’etnia e le abitudini del sospettato, numerosi sono ancora oggi in Italia i casi di delitti rimasti impuniti.
Noi di 2duerighe non vogliamo gettare fango sulle forze dell’ordine ne sul loro modo di operare. Siamo convinti che queste persone fanno del loro meglio, con il massimo impegno e professionalità. Il problema forse è un altro ed è insito nella moltitudine di variabili che possono avere le indagini scientifiche. Non siamo degli esperti in materia ma sicuramente non tutti gli organismi reagiscono allo stesso modo (es. i tempi di digestione di una sostanza non sono esattamente uguali per tutti) e in tempi così stretti come nel caso Rea anche un errore di interpretazione di pochi minuti potrebbe cambiare veramente le carte in tavola.