A casa tutti bene | Il ritorno del figliol prodigo

Allacciare presente e passato, far collidere tra loro uno stato d’animo ricolmo di cavalcante nostalgia e la maturità che si è plasmata in anni e anni di percorsi e cambiamenti, rappresentano punti d’unione e comunanza in ogni essere umano, e quando l’arte parteggia a favore di tale sublime sodalizio d’emozioni, il risultato è doppiamente affascinante e meraviglioso. In tal guisa il cinema italiano riscopre gli incroci dell’animo umano con uno dei suoi massimi esponenti di genere. Gabriele Muccino ritorna alla scrittura e alla regia nel bel paese dopo dodici anni di fortunata attività statunitense. Lo fa con un desiderio rinnovato, un agone con se stesso che lo porta a disegnare una sfida cinematografica complessa, articolata e dai tratti quasi surreali.
A casa tutti bene è solo l’insegna di un micro mondo, all’interno del quale, grazie ai personaggi che in esso esistono, vengono esposti in vetrine di cristallo le più grandi colpe dell’uomo moderno: ipocrisia, invidia, egoismo, e tante macchie dell’anima assorbite da un unico nucleo familiare, trincerato dietro un muro di falsa ed effimera felicità.
Il racconto trasposta lo spettatore su un’isola senza nome, dove una grande famiglia si ritrova insieme a festeggiare le nozze d’oro dei nonni che lì hanno trovato la loro fortuna e la loro seconda casa. Un’indomabile mareggiata impedisce ai protagonisti di lasciare in seguito l’isola, obbligandoli a una prolungata permanenza. In questo frangente i personaggi faranno i conti ognuno con i propri demoni, in un clima di crescente tensione che farà scontrare gli animi e i caratteri. Un turbine frenetico porterà a divisioni, contrasti feroci, ma in certi casi anche la riscoperta di sentimenti sopiti nel tempo.
Gabriele Muccino propone allo spettatore un affresco ideologico sulla moderna famiglia italiana, mascherata di perfezione e apparente armonia, dietro la quale si cela la vera essenza di un nucleo familiare tutt’altro che unito; al contrario scisso da rancori passati, da inquietudini e incrinature fino a quel momento accantonate sotto il tappeto. La sceneggiatura disegna un’orbita, dove vorticano più di venti personaggi, tutti indispensabili e tutti con un’ombra interiore pronta a prendere il sopravvento. Viene così plasmata un’opera corale, grazie al sussidio di un cast altisonante e di forte spessore recitativo, con lo scopo di rendere fluida la narrazione non semplice di questo sistema orbitante. Si rivedono quindi i senatori della macchina Mucciniana: Pierfrancesco Favino, Stefano Accorsi, Sabrina Impacciatore, i quali già in passato avevano ampiamente collaborato col regista. Importante sottolineare come l’isola in cui si svolgono i fatti rappresenti una sorta di Arcadia di cartone pronta a bruciare. Ciò avviene con la tempesta, elemento scatenante che impedisce alla famiglia di dileguarsi verso la propria falsa condotta e li costringe, in maniera violenta e spesso spietata, a guardarsi dentro l’un l’altro. Interessante come non vi sia alcuna catarsi. La tempesta non rinnova nulla, ma distrugge, condiziona, e i personaggi diventano guerrieri sconfitti, a seconda dei casi, nelle proprie battaglie. Un film dove c’è tanta carne a fuoco; ogni storia è fondamentale, ogni personaggio indispensabile. Non per altro Muccino spiega come fosse importante per lui che gli attori entrassero in sintonia l’uno con l’altro, sempre presenti sul set e soprattutto si sentissero come una vera famiglia. A raccogliere la sfida anche attori alla loro prima esperienza con il regista romano, uno su tutti Massimo Ghini, probabilmente il più bramoso di nuove e stimolanti battaglie e che, come lui ammette, non si è mai tirato indietro davanti a nessuna di esse. Il suo personaggio, colpito dall’Alzheimer che ne ha alterato la sanità mentale e la memoria, è di una purezza e delicatezza commovente. Diventa quasi un corpo estraneo ai litigi del resto della famiglia, e il suo girovagare, con sguardi persi e battute fuori dal contesto infuocato, dettano spesso i tempi tra una scena e l’altra. L’attore, fortemente improntato sulla commedia leggera tutta italiana, qui da prova di enorme spessore, risultando probabilmente l’unico personaggio la cui unica colpa è la sua stessa malattia. Lo stesso Ghini ammette come sia stato importante avere il pieno supporto e la fiducia di un regista come Muccino. Il clima di coesione che è stato in grado di creare sul set gli ha riportato alla memoria i tempi di Compagni di scuola, di Carlo Verdone, in occasione del quale l’alchimia comune ha fatto nascere un rapporto inossidabile tra gli interpreti. Un altro notevole lavoro è stato compiuto dalla coppia Michelini/Tognazzi, quest’ultimo sempre più maturo e a suo agio in ruoli dal forte impatto drammatico. Da notare come il suo lavoro precedente sia stato Non c’è campo, di Federico Moccia, dove ha dato vita a un personaggio, seppur secondario, che a tratti divora scenicamente gli altri.
Nonostante i temi trattati siano numerosi il film offre un ritmo furioso, a volte anche eccessivo. Il regista diviene un pilota con in mano un bolide sparato a oltre 200Km/h, con tanti cavalli in azione che rischiano di portarlo fuori strada. Il montaggio a volte può apparire esagitato e diverse scene sembrano avere vita propria, quasi come dei corti indipendenti dalla struttura del film stesso. Questo però è il rischio che si nasconde dietro ad una simile sceneggiatura, a maggior ragione se ad animarla sono attori di alta taratura, ognuno dei quali, a ragion veduta, pretende di dire la sua. La macchina da presa segue la tragedia intima di una coppia, mentre accanto ne sta evolvendo un’altra. I personaggi urtano tra loro sia metaforicamente che fisicamente e alle volte il pensiero di alcuni di loro si trasforma in quello dello spettatore, che finisce inevitabilmente per parteggiare per uno o per l’altro. La sceneggiatura offre notevoli punti di riflessione, anche troppi e lo spettatore corre il rischio di uscire dal cinema domandandosi cosa ne sarà della sua vita da quel momento in avanti. Ma che piaccia o meno questo è il cinema che ha reso Muccino quello che è. Una tragicommedia sul filo del rasoio che porta all’analisi profonda. In questo film ci cascano tutti, chi prima chi dopo. Sara (Sabrina Impacciatore), ad esempio, quasi fino alla fine si illude di essere l’unica ad avere una vita perfetta, rinchiusa nel suo piccolo paese delle meraviglie, fatto di Buddità e vibrazioni universali.
L’isola, la famiglia, il capostipite e i parenti tutti, rendono la sceneggiatura di Muccino e Paolo Costella un manifesto neorealista, il quale si accosta e poi si dissocia da quello di Giovanni Verga e i suoi Malavoglia. Tanto lontani eppure con tanti punti in comune. L’isola e Acitrezza, la madre (Stefania Sandrelli), unica ad avere a cuore l’unione della sua famiglia e mastro Don Gesualdo, il ristorante che gli ha dato tanta fortuna e la paranza Provvidenza. Verga proponeva la famiglia e la casa natia come elemento di purezza a difesa dalla corruzione del mondo esterno. Qui invece la famiglia è usata come specchio delle proprie turbe che porta a fuggire ciecamente verso una lotta dall’esito ignoto.
Una nota a parte va fatta per la location. Perché Ischia?
A questa domanda il regista risponde che era necessario trovare un luogo ameno che fosse in grado di accogliere tutto il gruppo e lo facesse sentire accolto, soprattutto con gli attori. “Mia madre è nata a Ischia. Io ci ho trascorso l’infanzia, ma mi legava all’isola il ricordo del morso di un cane. Non c’ero più tornato”. L’isola in provincia di Napoli è stata la meta ideale: con i suoi scorci, la sua storia e la sua geografia. Una piccola città circondata dal mare, la quale ha permesso di girare sia le scene in terraferma, sia quelle sull’isola, la maggior parte, sullo stesso suolo. Muccino spiega come il direttore della fotografia, Shane Hurlbut, sia rimasto colpito dalla luce e dalla temperatura (superiore in termini di fahrenheit a quella di Los Angeles). Ischia ha accolto l’intera macchina filmica un mese e mezzo dopo il terremoto nell’entroterra di Casamicciola Terme, generando in principio non pochi dubbi sulla sicurezza e sulla fattibilità del progetto in loco. Francesco Mattera ha spiegato come determinante sia stata la collaborazione del presidente dell’Ischia film Festival Michelangelo Messina, in qualità di garante sulla sicurezza del territorio. Missione compiuta e l’occhio esperto di Hurlbut ha potuto così disegnare i suoi lunghi piani sequenza, le sue inquadrature a 360°, circondato da storia, arte, natura e armonia che donano un fascino unico alla cornice del prodotto finale. Le esterne della villa di famiglia, con i suoi panorami e tramonti sono state girate sulle antiche architetture del Castello Aragonese. Il piccolo borgo di Sant’Angelo è divenuto nel film il porticciolo burrascoso, con la sua scogliera vaporosa e le figure locali che fanno capolino in simpatici siparietti. Infine Casamicciola Terme, nelle sue giornate più soleggiate, e il molo dell’Ancora, è stata la location perfetta per girare scene di massa, sia in apertura che in chiusa. Ma qual è stato il clima che si è respirato sull’isola durante le riprese?
Pierfrancesco Favino risponde con un sincero trasporto. “Bellissimo, perfetto. Siamo stati benissimo, ci hanno accolti e fatti sentire a nostro agio per tutto il tempo. Non abbiamo sentito nulla, nessuna scossa. Poi in questo albergo a 5 stelle…”. Sabrina Impacciatore sorride al ricordo dell’isola. “Tutti ci tranquillizzavano, ci spiegavano che non c’era pericolo e ci invitavano a prendere il caffè. A fine riprese, a sant’Angelo, ci hanno portato delle crostate fatte in casa sul set. Ischia ha avuto un forte danno, soprattutto economico. C’è stato uno svuotamento e per un’isola che vive di turismo è un danno enorme. Poi con tutto quello che è stato detto in televisione e sui giornali. Io spero davvero che questo film possa essere visto da molti e possa diventare una vetrina per l’isola”. In effetti il film vedrà la luce in oltre cinquecento sale italiane, un numero notevole per una produzione che ha stanziato un budget modesto di sette milioni di euro. Anche Stefania Sandrelli elogia l’isola e le sue acque termali di cui ha tanto beneficiato.
A casa tutti bene rappresenta una sfida in gran parte vinta da Gabriele Muccino, oltre ad essere il biglietto da visita con cui il regista fa ritorno al cinema italiano. La carica emotiva trasmessa dal nutrito e preparatissimo gruppo di attori lo archivia come un film di forte impatto visivo e mentale. Un prodotto che scalda, confonde, turba e fa sperare il cuore dello spettatore, portandolo poi a una cosciente riflessione sulla fredda maschera umana.
Il film Uscirà in sala il 14 febbraio.
VOTO: 6,5
DISTRIBUZIONE: 01 Distribution
USCITA: 14 febbraio 2018
DURATA: 105 minuti
GENERE: commedia
PAESE e ANNO: Italia 2018
REGIA: Gabriele Muccino
SCENEGGIATURA: Gabriele Muccino e Paolo Costella
FOTOGRAFIA: Shane, Hurlbut
CON: Piefrancesco Favino, Stefano Accorsi, Carolina Crescentini, Giampaolo Morelli, Massimo Ghini, Claudia Gerini, Stefania Sandrelli, Ivano Marescotti, Gianmarco Tognazzi, Sabrina Impacciatore, Valeria Solarino