Calcinculo: un nuovo realismo italiano, tra adolescenza e trasformazione

Calcinculo, seconda opera di Chiara Bellosi, è un teen movie che merita di essere visto.
Racconta adolescenza, amori non corrisposti, identità in formazione, fragilità e trasformazioni. Ma non indulge nella nostalgia patinata che ha caratterizzato tanto cinema mainstream sul tema, costruito più per solleticare i ricordi di un pubblico adulto che per parlare davvero ai giovani.
Bellosi sceglie invece di affrontare quell’età di passaggio (10-19 anni) come ciò che è: una terra di mezzo spesso ignorata, figliastra delle arti e trascurata dalle attenzioni politiche, mediatiche e culturali.

Il metodo Bellosi
Ciò che sorprende, alla seconda regia, è lo stile non convenzionale con cui Bellosi lavora sul set. Nessun artificio, nessuna scorciatoia: il film prende vita attraverso l’umanità di attori non professionisti, guidati con una cura che punta al vero.
La protagonista, Gaia Di Pietro, al suo esordio assoluto, dà corpo a Benedetta, quindicenne in crisi con sé stessa e con il mondo: un corpo ingombrante, un rapporto difficile con la madre, poche amicizie. A farle da controcanto c’è Amanda, interpretata da un intenso Andrea Carpenzano (che abbiamo già incontrato giovanissimo in La terra dell’abbastanza dei Fratelli D’Innocenzo), ragazza transgender che vive in una roulotte di luna park. Per alimentare la tensione tra i due personaggi, la regista ha scelto di tenerli distanti durante le riprese: così, la curiosità e il desiderio di incontro diventano parte integrante del racconto.
Un nuovo realismo italiano
In questo meccanismo di scoperta reciproca si trova la chiave di lettura di Calcinculo: un piccolo gioiello di nuovo realismo italiano. Un cinema che prende volti inediti dalla strada, cattura emozioni autentiche e le imprime sulla pellicola. Viene naturale il paragone con il cinema di Jonas Carpignano, autore di A Ciambra, capace di raccontare margini e fragilità con uno sguardo internazionale e riconoscibile.
Si può intravedere anche un richiamo a Nevia di Nunzia De Stefano: lo stesso sguardo sulle difficoltà delle periferie, tra esistenze complicate, desiderio di riscatto e soprattutto la ricerca profonda della propria identità.
Bellosi, con la sua fotografia fatta di chiaroscuri interrotti da bagliori improvvisi, sembra collocarsi sotto lo stesso “ombrello” di un cinema che non consola ma interroga, che non indulge nella upper class ma dà voce agli ultimi, ai dimenticati, a chi fatica a trovare un posto nel mondo.

La roulotte come luogo di metamorfosi
Calcinculo è un film che usa lo spazio del viaggio e della roulotte come metafora: l’attraversamento fisico di un territorio diventa specchio di un percorso interiore.
Nel caso di Benedetta, la roulotte di Amanda è più di un rifugio: è il luogo in cui la ragazza si spoglia del pigiama-bozzolo dell’infanzia e inizia la sua trasformazione. Amanda, con la sua fragilità e la sua forza, diventa una guida maieutica: non una madre, non un mentore, ma qualcuno che offre amore gratuito, riconoscimento e ascolto. È in questo spazio che la protagonista impara a percepire la possibilità di diventare altro, di intravedere il cigno che c’è in lei.
Il significato del titolo
Il titolo stesso, Calcinculo, gioca sul doppio senso della giostra a seggiolini. Crescere significa, sì, prendere qualche colpo, ma anche ricevere quella spinta che permette di andare più in alto. Che si tratti di un calcio brusco o di un incoraggiamento, molto dipende da come scegliamo di viverlo. È qui che Bellosi lascia allo spettatore un filo di speranza: salire sulla giostra della vita, mettersi in gioco, significa accettare il rischio e la possibilità di cambiamento.
