UN SACCHETTO DI BIGLIE | fuggire per sperare

Fuggire dalla propria vita e affrontare la storia per salvarsi: “Un sacchetto di biglie” è il nuovo film di Christian Duguay, regista di “Belle&Sebastienne”. Tratto dall’omonimo romanzo, scritto quarant’anni fa da un protagonista del racconto, Joseph Joffo, si aggiunge con stile all’affollata cineteca della Memoria, portando nelle sale dolore e speranza. Un carattere romanzesco denota il ricordo delle brutalità del regime Nazista su un’atmosfera nuova per il genere. La pellicola mostra le peripezie di due fratelli messi alla fuga dai genitori per scampare alle persecuzioni naziste, il destino impavido contro cui hanno combattuto Josef,la sua famiglia e milioni di ebrei. Un’umanità edulcorata,dal volto crudele, ignavo o solidale, la densità d’incontri nella trama, il naturale istinto di sopravvivenza dei due bambini, regalano un quadro universale, davanti al quale riflettere sull’incommensurabile valore della libertà e dell’azione umana.
Siamo nel ’42, nella Parigi occupata e mentre si avviano provvedimenti discriminatori contro gli ebrei, il padre di Josef, Roman, reduce dall’esperienza dei pogrom russi, fiuta il pericolo imminente e organizza la fuga della propria famiglia. L’autore del libro e suo fratello Maurice al ritorno da scuola apprendono della partenza dei due fratelli maggiori e, in una scena particolarmente riuscita, vengono spinti a fuggire dai propri genitori con una durezza necessariamente educativa del padre. “Meglio il dolore di uno schiaffo che perdere la propria vita perché se ne ha paura”. Fortunati, tenaci ed entusiasti i due bambini si ricongiungono con la propria famiglia a Nizza, dove i soldati italiani sono così tolleranti da poterci giocare a carte insieme. Trascorrono tre mesi di quiete, spezzata dalla morte di Mussolini; si ritirano gli italiani e sopraggiungono i tedeschi anche a Nizza, gli Joffo, allora, fuggono di nuovo e i fratellini si ritrovano in un centro d’addestramento nel quale devono tener nascosta la propria identità. Passa del tempo, si vocifera di possibili controlli dei nazisti, Joseph e Maurice non hanno notizie dei propri genitori, così, presi dal timore, ritornano a Nizza con un operaio del centro, interpretato da Kev Adams,ma tutti e tre vengono catturati. Con l’aiuto di un curato e tanta astuzia, i due bambini scampano alla deportazione, rivedono per l’ultima volta il padre che li conduce nell’Alta Savoia, dove attenderanno la fine della guerra e l’inizio di una nuova vita, Joseph lavorando da un libraio collaborazionista e Maurice da un albergatore resistente.
Dorian Le Clech nei panni di Joseph e Batyste Fleurial Palmieri in quelli di Maurice con un’abilità sorprendente riescono a rendere la paura, l’istinto e la complicità di due fratelli. Due buone interpretazioni quella della mamma, Elsa Zylberstein, e del padre Patrick Bruel sul quale Joffo aveva qualche dubbio. Nella trasposizione cinematografica Duguay è riusciuto a far risaltare la letterarietà dell’opera anche attraverso una “galleria” di personaggi secondari che ampliano il contesto del racconto e attraverso i quali si completa il processo di crescita dei due bambini; dal medico, Christian Clavier, che finge di ignorare il fatto che sono ebrei, alla morte di Kev Adams partigiano, dal bonario soldato italiano Marcello al librario collaborazionista con un figlio miliziano e una figlia Francois, che tace sulla vera identità di Joseph, innamorato di lei. Una proiezione ricca di emozioni e di anime che vivono una pagina di storia macchiata indelebilmente.
La resa del libro e dell’atmosfera attorno alla quale si costruisce il film è indirizzata anche dai ricordi di Joseph Joffo che ha collaborato con Duguay. Si rivela un’attenzione ai minimi dettagli con la scenografia intuitiva di Frank Schwarz e una ripresa “opprimente che segue ogni movimento dell’ attore” e genera sospensioni molto riuscite: il gerarca nazista che inzuppa il biscotto nell’uovo di fronte al prete palpitante mentre mette alla prova l’onestà di Joseph e Maurice che, però, scoprono la trappola. L’ottica distante del regista canadese ha svuotato il tema di qualsiasi retorica, rendendolo un film godibile. Ne era già stato girato uno sul romanzo di Joffo da Jacques Dillon ma il regista non aveva soddisfatto l’ebreo francese. Joseph Joffo ha detto che Duguay ha fatto il film della sua vita, “Un sacchetto di biglie” è un’emozionante pellicola che guarda universalmente al dolore provocato dalle persecuzioni e dalla guerra nella descrizione di diverse sfumature umane.
VOTO 7.5
TITOLO Un sacchetto di biglie
USCITA 18 Gennaio 2018
GENERE Drammatico
DURATA 110 minuti
PRODUZIONE Main Journey, Quad Productions
DISTRIBUZIONE Notorious Pictures
REGISTA Christian Duguay
SCENEGGIATURE Benoit Guichard, Christian Duguay
MUSICA Armand Amar
FOTOGRAFIA Christophe Graillot
SCENOGRAFIA Franck Schwarz