THE BROKEN KEY | L’arte innesca l’arte

Viviamo la nostra esistenza in un tempo di grande rivoluzione artistica, dove le forme si fondono e danno origine a variegate composizioni. La tecnologia ci supporta, supporta le idee e diviene il collante tra le più alte espressioni con cui l’uomo esalta se stesso e l’universo.
Il cinema assorbe e ridefinisce l’arte, la letteratura e la storia, laddove grandi autori ricercano verità celate nei labirinti del passato. In un circuito nazionale, quello italiano, dove raramente la ricerca cinematografica si erge tra le massime aspirazioni, si sente la necessità di dare un volto a prodotti che possano sorvolare i confini e diventare fruibili a tutti. Il cinema del torinese Louis Nero non è mai stato conforme ad un mercato italiano spesso superficiale, poco ambizioso e per questo l’autore ha sempre modellato da sé la sua arte, imprimendole le sue idee e il suo stile peculiare.
Produzione, regia, scrittura; un home made che lo ha portato ha guadagnarsi la stima di importanti nomi nel parterre internazionale, soprattutto tra gli attori, sempre motivati e stimolati da sceneggiature visionarie e da una continua ricerca tra gli eterni misteri dell’umanità.
La nuova creatura di Nero è The Broken Key, film difficile da classificare, ma che potrebbe essere catalogato tra le pagine dei sci-fi thriller. La trama viaggia attraverso due linee temporali: presente e futuro, più precisamente nel 2033, un’epoca in cui l’umanità è stretta nella morsa dittatoriale della Zimurgh Corporation e della “Legge Shuster” sull’eco sostenibilità. La carta è un bene prezioso e stampare è un grave crimine. In un collage di flashback e premonizioni il ricercatore londinese Arthur J. Adams (Andrea Cocco) si muove alla ricerca del frammento di un antico papiro, protetto da un’antica confraternita risalente all’epoca egizia e legata alla divinità Horus. Adam vedrà la sua ricerca costantemente ostacolata da una feroce serie di assassinii, da figure che si muovono nell’ombra e dagli spettri del suo passato.
Trovare una chiave di lettura non è semplice e si deve pertanto fare il possibile per ampliare i pori della propria mente e calarsi nei panni non più dello spettatore distaccato ma del protagonista stesso. La volontà è quella di spingere lo spettatore verso lo stesso percorso di Adam J. Arthur, che lo conduce verso una purificazione dai peccati, verso quella catarsi dantesca che conduce l’uomo ad essere simile alla divinità. Ciò che salta immediatamente all’occhio è il fortissimo impatto visivo; ci viene proposta una Torino futuristica, di grande fascino se vogliamo e che si mescola alla perfezione con l’architettura classica e le grandi opere italiane.
Il complesso scenografico è esaltato grazie all’amore che il regista ha sempre nutrito per la sua città, per i segreti che si affollano nei suoi meandri e per la meravigliosa arte che giganteggia in tutto il Piemonte e che la renderebbe secondo gli antichi, una terra magica e predestinata. Tutti gli elementi narrativi e strutturali riconducono inevitabilmente lo spettatore a paragonare l’intero film alle trasposizioni cinematografiche del più noto Dan Brown, uno su tutti il Codice Da Vinci. La matrice stilistica dello scrittore statunitense è decisamente tangibile. Ombre che si muovono e uccidono nell’oscurità, soffitti che mutano in volte stellate, i dipinti del maestro Bosch che si animano e trasmigrano magicamente nel corpo del protagonista, in un’epifania dove i grandi segreti vengono finalmente rivelati. C’è da considerare un’enorme differenza. Louis Nero non è una romanziere, ma un cineasta e tutte le sue idee, le sue intuizioni, e tutta la macchina narrativa sono contenuti unicamente nel film; nasce già come prodotto finale.
Le visioni cinematografiche di Dan Brown risentono eccessivamente di filtri stilistici e commerciali che rendono spesso i film in questione delle mere macchine da botteghino e l’anima rimane impressa esclusivamente nella carta stampata. La generosità, l’umiltà e la sfrenata passione del regista però non rendono questa tela immacolata come potrebbe sembrare, anzi.
In The Broken Key viene messa talmente tanta carne a fuoco da far temere una pesante indigestione. Lo spettatore può trovarsi disorientato da un susseguirsi frenetico di eventi che si alterna a inaspettati e duraturi cali di tensione; a volte si fatica a seguire tutte le trame e le sotto trame presenti. I flashback storici si uniscono a quelli inaspettati del protagonista e il suo trauma viene costantemente riproposto, fino a diventare stucchevole. Anche qui troviamo similitudini con il professor Robert Langdon di Dan Brown, la cui claustrofobia si lega a un duro trauma infantile. C’è da ammettere però, che la sofferenza provata dal giovane Arthur viene presentata molto meglio e i dettagli sono curati con approfondita minuzia di particolari. A scoraggiare ulteriormente il filo logico è il numero incredibile di morti e aggressioni. Quasi come se tutti coloro che hanno uno scambio con il protagonista siano destinati all’aldilà, eccezion fatta per la squadra di ricerca.
I personaggi di per sé rappresentano quasi un’incognita. Il protagonista è l’unico ad avere una struttura pressoché completa, con una storia e un background che porta a comprendere perché si spinga verso un viaggio purificatore. Il resto appare molto piatto e non bastano i camei di grandi stelle internazionali come Rutger Hauer, Franco Nero, Christopher Lambert, Michael Madsen e tanti altri, a dare verve al reparto artistico, forse volutamente trascurato per esigenze di copione, quasi come a suggerire che non ci sia tempo per loro, la storia deve andare avanti. In 120 minuti sono del parere che si sarebbe potuto approfondire qualcosina in più. Il lavoro di Andrea Cocco dal punto di vista recitativo ricorda vagamente un giovanissimo Keanu Reeves, in espressioni e toni vocali. Un’altra voce stonata è sicuramente il sonoro. Apprezzabilissima la volontà di ricreare intorno alle ombre del protagonista una continua colonna sonora classicheggiante, quasi come una guida sul suo percorso, o il metronomo delle sue emozioni; purtroppo anche qui l’eccesso e tutto tecnico. I volumi sono altissimi in alcune scene, e si fatica a seguire dialoghi e situazioni già non particolarmente scorrevoli.
La nota più brillante è la visione che Nero ha improntato al suo ipotetico futuro. Un’era decisamente credibile, dove la censura si impone con l’alibi dell’eco sostenibilità. Il contrasto tra una civiltà evoluta, fortemente tecnocrate e l’imposizione sulle masse lo riconduce quasi ad un medioevo futuristico. La mano della “Grande Z”, il veto sulla carta stampata come a censurare le arti ricorda molto Il Nome della Rosa, dove era la chiesa a imporre la propria legge fondamentalista e oscurantista sui testi sacri e filosofici. Scavando nell’archivio cinematografico si riscontrano somiglianze anche con Equilibrium di Kurt Wimmer, in un futuro dove a essere messe al bando erano le emozioni umane. La differenza rispetto al futuro di Wimmer, è che quello di Nero è tutt’atro che distopico. In ultima analisi possiamo affermare che The Broken key si presenta con due facce: quella del grande significato che si porta dietro, con tutti gli aspetti della straordinaria e appassionata ricerca estetica del suo autore e quella tecnica. Quest’ultima è ahimè nefasta. Due ore sono troppe per un montaggio video e sonoro forsennati, che confondono e rischiano di far naufragare tutte le ottime premesse sui cui il film si fonda.
VOTO: 5.5
DISTRIBUZIONE: L’Altrofilm
USCITA: 16 novembre 2017
DURATA: 120 minuti
GENERE: sci-fi thriller, history
PAESE e ANNO: Italia, Egitto, Inghilterra 2017
REGIA: Louis Nero
SCENEGGIATURA: Louis Nero
FOTOGRAFIA: Louis Nero, Davide Borsa
CON: Andrea Cocco, Rutger Hauer, Franco Nero, Christopher Lambert, Michael Madsen
Di Salvatore Cuomo