LEATHERFACE | C’era una volta in Texas…

Prequels, Reboots e altre “aggiunte” alla storia originale hanno una brutta reputazione in genere, ma in particolare nel mondo del cinema. Spesso in effetti vengono proposte storie “sottotono”, che riducono i dettagli o i personaggi preferiti di una saga a macchiette, banali e sbrigative rivisitazioni di storie già viste e riviste.
Non c’è quindi da meravigliarsi se alla notizia dell’uscita di un prequel, per la storia che ha origine nel 1974 con il capolavoro dell’Horror Non aprite quella porta, fan e critica si siano approcciati alla pellicola con un misto di cautela e terrore, dovuto, ahimè, non alla famiglia Sawyer.
Leatherface è l’ottavo episodio della saga, un prequel appunto, che ridefinisce alcuni aspetti fondamentali della trama generale e dei personaggi, lavorando come un grande spartiacque, con il compito di indicare cosa è canon da cosa non lo è più. Cronologicamente si posiziona prima del film originale e di Non aprite quella porta 3D, ambendo quindi a diventare un faro guida per l’intera saga.
Parlare di trama è complicato, nel senso che le storie e gli archi narrativi proposti sono diversi e tutti importanti per il fine che il film si propone. C’è il rischio infatti di perdersi nei numerosi scompartimenti in cui è diviso il lavoro conclusivo. Di base possiamo dire che quattro adolescenti fuggono dal riformatorio/ospedale psichiatrico in cui erano rinchiusi, e insieme ad un’infermiera tenuta in ostaggio, tentano di raggiungere il confine con il Messico. Braccati costantemente da un sanguinario tutore della legge, vivranno eventi tragici, che portano la storia su di un binario inaspettato, fatto di orrori che lentamente faranno uscire fuori il mostro, Leatherface in persona.
Ciò che stupisce, per tutta la durata del film, è che l’omonimo serial killer sembra non esserci. Abbiamo riferimenti ai film originali, i luoghi, i personaggi, ma di lui sembra non esserci traccia. Gli spettatori vivono di fatto un’esperienza simile a quella di una cena con delitto, in cui tentano di “smascherare” la vera identità di Leatherface dai piccoli dettagli e indizi che vengono proposti mentre la pellicola si spiega di fronte a loro.
Questo “gioco nel gioco” risulta un’azzeccata quanto geniale scommessa di sceneggiatura da parte di Seth M. Sherwood, resa egregiamente su schermo dai due registi francesi Julien Maury e Alexandre Bustillo, che “giocano” a loro volta con il pubblico tenendolo incollato allo schermo, non solo per l’avvincente trama e frenetica azione, in una sorta di metacinema che non scopre le sue carte fino ad un inaspettato twist finale.
Nonostante la genialità di questa scelta, la sceneggiatura a tratti manca di coerenza narrativa. Senza spoilers molti in sala potrebbero chiedersi (tra le tante cose) perché dei ragazzi robusti e l’infermiera si facciano tenere in scacco per tutto il tempo da uno dei pazienti, che, per quanto pazzo e violento (tanto quanto loro), risulta essere alla fine dei conti un sedicenne mingherlino, armato di un coltellino minuscolo. Oppure rimanere confusi dalla velocità quasi estrema, con la quale alcune parti della storia vengono trattate, al punto che sembrano essere in fast forward, o ancora perché alcune delle scene cruente siano “censurate” da luci intermittenti, che infestano tutta la prima parte del film rendendola sgradevole e facendo voltare lo sguardo più per paura di un attacco epilettico che per l’effettiva violenza proposta su schermo. Per questo la regia può risultare spiacevole e ad una visione superficiale potrebbe compromettere l’intero film, nonostante esso goda di una fotografia (diretta da Antoine Sanier) eccellente che riesce a trasmettere tutto il calore delle praterie Texane con le loro Highways e tutta l’oppressione dei luoghi bui e claustrofobici, come case abbandonate, ospedali psichiatrici e l’infame fattoria dei Sawyer.
Ma il film nasconde molto di più.
La parte artistica è sviluppata e presentata magistralmente, e ribalta il giudizio iniziale che uno spettatore può farsi dell’opera. Come ogni buon Horror che si rispetti, la storia può essere vista con due chiavi di lettura. La prima, quella più superficiale, mostra un film splatter e d’azione, perfetto per le serate in compagnia. L’altra, quella più profonda, ci mette davanti ad un’opera sensibilissima, un film pieno di simbologia che scava a fondo nella condizione giovanile contemporanea, nonostante sia posto cronologicamente nel 1965.
Paradossalmente questa interpretazione risulta lineare, rispetto alla sua controparte, e vede il film diventare di fatto una storia di formazione, una ricerca del “rito di passaggio” che vede un giovanissimo Jedediah Sawyer lottare contro tutto ciò che la società gli impone.
Le scene iniziali lo mostrano chiaramente, il compleanno dello stesso è infatti il momento perfetto per entrare effettivamente a far parte della famiglia di cannibali, per venire accettato. Una madre gioiosa, fratelli e nonni festanti, si raccolgono intorno a lui per regalargli qualcosa che lo definirà per tutto il resto della vita: La motosega e la sua prima vittima. Jed però rifiuta, nonostante la genetica ha un cuore dolce, sensibile e proprio non riesce a seguire le orme dei suoi cari, nonostante questi tentino di educarlo dalla nascita alla violenza. C’è un rifiuto di tutti i valori familiari, di tutto ciò che le figure autoritarie con cui un bambino ha a che fare tentano di imporre, nel bene e nel male, tradendone per la prima volta le aspettative e i sogni. Quello che diventerà un irrefrenabile assassino si commuove per la vittima, tenta di barattare per la sua vita.
La storia prosegue poi nell’ospedale psichiatrico, il riformatorio adolescenziale, l’oppressivo luogo di istruzione e contenimento in cui il giovane “ribelle” viene forzatamente rinchiuso insieme agli altri ragazzi, colpevoli di essere nati in famiglie che hanno tolto loro l’innocenza, intaccandone la mente.
Ciò che avrebbe dovuto salvarlo, non arriva in tempo. Le forze dell’ordine, incarnate nel violento e brutale Sceriffo Texano, non si curano di lui. Egli è infatti accecato dalla vendetta e dall’odio per l’omicidio di sua figlia da parte dei fratelli Sawyer, e il recupero del più piccolo e innocente di loro è al di là delle sue preoccupazione.
L’affidamento all’istituto e la sua perdita di identità sono il secondo e terzo tradimento che la società civile perpetra nei confronti di Jed. Ed è proprio il tema dell’identità che permea tutta l’opera (e in realtà tutta la saga), in particolare da questo punto in poi, visto che Jed smetterà effettivamente di esistere, al punto che neanche lo spettatore sa chi egli sia. Per tutto il film infatti non sapremo più riconoscere quel bambino nella fattoria, la pubertà e la reclusione hanno trasformato il suo corpo irreparabilmente, e le istituzioni gli hanno strappato via il nome, per proteggerlo dalla famiglia di cannibali.
Di lui rimane solo la voglia di cercare qualcosa di cui fare veramente parte, una vera “famiglia” , degli affetti che spera di trovare nella nuova infermiera, tanto dolce e materna, e nei suoi “compagni”, vittime del sistema.
Ma come i restanti sette film ci insegnano, il mondo in cui Jedediah Sawyer vive è ancora più brutale e grottesco del nostro, e il finale vedrà le sue speranze tradite di nuovo da tutti, per la quarta e quinta volta.
Il sipario calerà su Jeb e si riaprirà su uno dei più efferati serial killer della storia del cinema, Leatherface.
Voto: 7 Winchester su 10
Dati tecnici di Leatherface
TITOLO: Leatherface
USCITA: 14/09/2017
REGIA: Alexandre Busillo, Julien Maury
SCENEGGIATURA: Seth M. Sherwood
DURATA: 98 minuti
GENERE: Horror
PAESE: USA
CASA DI PRODUZIONE: Millennium Films, Grobman films production
DISTRIBUZIONE: M2 Pictures
FOTOGRAFIA: Antoine Sanier
MONTAGGIO: Sebastien De Saint Croix, Josh Ethier
CAST: Finn Jones, Vanessa Grasse, Stephen Dorff, Lili Taylor, Nicole Andrews, Sam Strike, Sam Coleman, Vanessa Grasse