Nel cuore di Parthenope
“Certo che è enorme la vita. Ti ci perdi dappertutto”.
In epigrafe, ancora una volta, Céline. E sullo sfondo, ancora una volta, Napoli.
La protagonista del nuovo film di Paolo Sorrentino è una donna, Parthenope, che incarna il bene e il male di un’intera città, dal 1950 al giorno d’oggi.
Lei che è tutta una contraddizione, un ossimoro, una creazione del regista, l’espediente per dimostrare che la bellezza giovanile è solo un’illusione, come la libertà, come l’estate perfetta, come il primo amore.
“Io non so niente ma mi piace tutto”.
Così Parthenope risponde al Professor Marotta (Silvio Orlando) per meritarsi la lode al suo primo esame di Antropologia, che, come le rivelerà lui, è saper vedere.
È difficilissimo vedere, perché è l’ultima cosa che si impara. Si impara a vedere quando comincia a mancare tutto il resto: l’amore, la gioventù, il desiderio, l’emozione, il piacere.
Più volte le faranno la stessa domanda: a cosa stai pensando? A tutto il resto, risponderà lei solo una volta.
Dopo la morte del fratello, la sua vita cambia. Da ragazza, diventa adulta. Il dolore e il senso di colpa la logorano a tal punto che si lascia andare, decidendo inconsapevolmente di non amare più nessuno. Motivo per cui sfuggirà la maternità per tutta la vita.
“Io non la giudicherò mai e lei non mi giudicherà”. È questo il patto tra il Professore e Parthenope, unica vera erede della cattedra all’università, ma soprattutto la persona con cui poter condividere il dolore. Perché lei ha fatto esperienza di quella tragedia e, dunque, può capirlo.
La figura mostruosa che Parthenope vedrà prima di partire per Trento, altro non è che il dolore accumulato nel tempo dal Professor Marotta, al quale lei sente di dover dire grazie.
Sorrentino è un amplificatore di suoni, immagini e parole. È un grande regista perché è allo stesso tempo generoso e truffatore; sincero e furbo; misterioso e rivelatore.
Immagini indimenticabili e personaggi grotteschi. L’amore, la malinconia, il tempo che passa e il mare, dove affiorano le domande e dove sprofonda la verità, una straziante agonia che fa paura a tutti.
A quelli che non sanno distinguere l’irrilevante dal decisivo, a quelli che non sanno fare domande e vogliono le risposte, ai seduttori, ai camorristi, ai narcisisti imbevuti di successo.
È un film carico di immagini bellissime, schegge di luce che finiscono nella notte.
Si parla di tutti quei temi che hanno a che fare con la vita. Alcuni vengono solo accennati, altri sono il filo conduttore di un film senza trama, ma carico di emozioni.
Ci insegna che non esistono verità assolute, che non bisogna giudicare e che l’unica certezza è che non si può tornare indietro, perché la vita è un soffio che si perde nel mare.
Le frontiere culturali del miracolo, non è solo il titolo di una tesi, ma un invito a cercare di vedere anche ciò che è invisibile, perché la vita non è una truffa, ma un mistero.
“Non ho saputo farmi le domande giuste”, dirà Parthenope, non più Celeste Dalla Porta ma Stefania Sandrelli, quando invece non ha saputo amare, non per colpa sua, ma per gli eventi che hanno segnato la sua vita.
Cala il sipario, non resta che inchinarsi, unico insegnamento di chi ha capito che i suoi occhi sono spenti e che l’amore non si può insegnare.
E se è vero che “Dio non ama il mare” (se lo dice Tesorone…), di sicuro ama l’essere umano e anche il suo fallimento.
Articolo a cura di Alessandro Zimatore