Muore l’attrice Monica Vitti

Monica, dove sei andata?
“Ma ‘ndo vai?”, verrebbe quasi da gridare a Maria Luisa Ceciarelli, in arte l’indimenticabile Monica Vitti, che stamattina ha lasciato questa Terra dopo novanta anni di presenza fisica (era nata il 3 novembre del 1931), di cui gli ultimi venti trascorsi nell’ombra e nei meandri della sua lunga malattia degenerativa. Citando dunque una delle sue più straordinarie e spassose interpretazioni al fianco di Alberto Sordi, altro conterraneo indimenticabile, Polvere di Stelle (1973, per la regia dello stesso Sordi), oggi il mondo della cultura italiana saluta uno dei suoi più splendenti astri del firmamento.
L’eleganza della trasversalità
Multidisciplinare per quella destrezza di passare con disinvoltura dal cinema al teatro, dalla televisione alla scrittura, dietro, davanti, di lato alla macchina da presa; poliedrica per quella capacità unica di diventare seria, poi triste, poi drammatica, poi comica, e di nuovo addolorata, e di nuovo divertente, interpretando ogni ruolo con eleganza, talento, con un’innata intelligenza emozionale, e con grande spirito di ribellione. E soprattutto bellezza, che non passava inosservata, ma che allo stesso tempo non urlava prepotentemente, ma restava una sobria e silente compagna, appendice di tutte le sue innumerevoli qualità.
Negli anni e nei decenni in cui si affermavano modelli attoriali femminili di bellezze “canoniche”, di ruoli stereotipati e sempre identici, annunciando una profonda crisi diegetica ed estetica, Monica Vitti rimaneva fedele a se stessa, avvolta nei suoi tailleurs, nel turbinio drammaturgico e nella complessità psicologica dei suoi personaggi.
Il contrappasso
Personaggi che, nel loro turbinio nevrotico, sembrano aver quasi attecchito alla sua persona, togliendole, negli ultimi anni della sua esistenza, ogni capacità comunicativa. Strana legge del contrappasso, che tuttavia ha permesso di preservare e conservare di lei un’immagine mitica e mitologica, per una carriera dura, ma in inesorabile ascesa. Dalla solida formazione in Accademia alle prime esperienze teatrali nel genere classico, e nel doppiaggio, l’avvicinamento di Monica Vitti al cinema, e soprattutto a quello “d’autore”, avviene gradualmente, fino al fulminante incontro e sodalizio con Michelangelo Antonioni.
Prima con la cosiddetta trilogia dell’incomunicabilità (altro paradosso diegetico), poi con Deserto Rosso, (1964), lungometraggio di incommensurabile avanguardia sperimentale, la consacrazione dell’attrice è ufficiale, anche per l’interpretazione tangibile di quel senso di universale insoddisfazione e per il tormento disumanizzante che si riflette nel panorama politico e sociale circostante.

In corrispondenza dell’abbandono umano e professionale con Antonioni, e l’incontro con l’amore di una vita, il fotografo e regista Roberto Russo, Monica Vitti comincia la sua seconda esistenza artistica: diventa Assunta Patanè per Mario Monicelli in La ragazza con la pistola (1968), nominato agli Oscar come migliore film straniero e premiato ai Nastri d’Argento e ai David di Donatello. Recita poi per Ettore Scola, Dino Risi, Tinto Brass, stringendo un sodalizio prolifico con Alberto Sordi e senza mai abbandonare la sua altrettanto attiva carriera teatrale, destreggiandosi tra Albertazzi e Zeffirelli.
Insignita del Leone d’Oro alla carriera nel 1995, e nel 2001 ricevuta al Quirinale per i David di Donatello, comincia la sua lenta discesa nell’oblio della malattia. Ma nessuno l’ha mai dimenticata e mai potrà farlo.