Le dipendenze raccontate dai film

Dipendenza ‹/di·pen·dèn·za/› s.f. – Rapporto di subordinazione osservato in vari ambiti.
La dipendenza, si sa, è la malattia dell’anima perché agisce in maniera subdola sulla mente delle persone, portandole al declino.
È un vortice che prima ti accompagna per mano e poi ti abbandona nel punto più buio della desolazione.
Si può manifestare sotto tante forme: ci sono le dipendenze da sostanze come alcol e droghe, oppure da cibo, poi ci sono le dipendenze comportamentali (internet, gioco d’azzardo, sesso) e infine quelle affettive.
Sul tema della dipendenza sono incentrati numerosi film del cinema nazionale e internazionale, ripercorriamone alcuni che spiccano per profondità di narrazione.
Il nostro percorso tra le dipendenze inizia con Paura e delirio a Las Vegas di Terry Gilliam, perché ci troviamo nel momento acuto dell’allucinazione da sostanze.
Questa è la fase iniziale, quando tutto sembra assumere un coloro diverso, quando la realtà viene sopita e la mente può viaggiare liberamente.
In questo film i protagonisti Raoul e Dott. Gonzo, due assidui consumatori di stupefacenti, trasformano un viaggio di lavoro in una vacanza nei meandri delle droghe. Tutto quello che vediamo è un susseguirsi di visioni distorte della realtà e deliranti discorsi tra i personaggi.

Qui le sostanze psicotrope ci vengono mostrate nella loro fase iniziale dello sballo, in una spirale di perdizione che provoca alienazione dal mondo.
Le dipendenze prevedono momenti di evasione dalla realtà e di euforia ma anche tanti momenti di down, per questo si ricorre al continuo consumo di una sostanza o di un atteggiamento. Proprio il momento di maggiore sofferenza ci viene mostrato in Requiem for a dream da Darren Aronofsky.
Il regista rappresenta due tipi di dipendenza: quella da eroina, del figlio Harry, e quella da televisione, della madre Sara.
Se da una parte il percorso dell’abuso di droga ha il medesimo schema, ossia l’utilizzo sempre maggiore di una sostanza per ricercare lo svago e la distrazione, la conseguente subordinazione, il crollo psico-fisico e la ricerca della nuova dose.
Dall’altra parte la dipendenza comportamentale (in questo caso da tv) assume dei tratti più solitari, la televisione funge da immaginario compagno e genera nel soggetto dipendente un disturbo psicologico da cui è difficile uscirne.
Una spirale che traghetterà i protagonisti verso un’inevitabile fine. Aronofsky ha continuato a trattare, ne Il cigno nero, la sperimentazione degli abissi umani, attraverso una storia fatta di ossessione per il corpo e disturbi patologici, spinti al limite dalla seduzione per la morte.
Ogni dipendenza presuppone un malessere interiore, esplicito o non, ma soprattutto va incontro alla consapevolezza da parte dei dipendenti. Spesso, infatti, si è consapevoli di avere un problema ma non si riesce a chiedere aiuto.
Amore tossico di Claudio Caligari è un esempio pieno di coscienza e incapacità di salvarsi.

In questa pellicola neorealista gli attori sono dei veri tossicodipendenti di eroina ma recitano un copione che vorrebbe svegliarli dal torpore. Riflessioni profonde portano i protagonisti, Cesare e Michela, a momenti di grande verità: a volte fantasticano su un futuro non più legato al mondo della droga, altre volte si tormentano per un presente che ritengono deludente.
In una Ostia anni ’80 che non riesce ad offrire tante possibilità di riscatto, Cesare ha trascinato Michela in un amore tossico, fatto di affetto ma soprattutto di droga.
In Christiane F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino di Uli Edel, invece, Christiane e i suoi amici entrano nella spirale tossica a causa di un disagio interiore che non riescono ad esternare.

Sono guidati dal solo malessere che li disorienta, portandoli a compiere scelte di vita estreme e nocive.
Con Primo amore ritorniamo in Italia, qui Matteo Garrone delinea una storia di dipendenza sfumata: Sonia si lega sentimentalmente a Vittorio, di cui diventa dipendente e per compiacerlo asseconda la sua ossessione, quella di essere estremamente magra.
Una dipendenza affettiva può unirsi ad un disturbo comportamentale e ciò può essere davvero dannoso per la persona, portando ad uno stato di fragilità emotiva e fisica.

A volte, invece, le dipendenze affettive possono derivare da repressioni personali. La pianista di Michael Haneke ci mostra la vita di un’insegnate di piano che riversa le sue perversioni sessuali su un ragazzo, il quale dovrà salvarsi prima di farsi intrappolare.
È quello che succede anche in Bella di giorno di Luis Buñuel, in cui una donna borghese inizia a frequentare una casa d’appuntamenti e a prostituirsi, all’insaputa del marito, per dare sfogo alle sue fantasie sessuali.
La sua frigidità con il marito viene meno con gli sconosciuti, con i quali cerca invece di psicanalizzare le sue fobie.
Ma è in Nymphomaniac (volumi 1 e 2)di Lars von Trier che troviamo la massima narrazione di una dipendenza sessuale.
La protagonista Joe racconta le sue esperienze alla scoperta di un ipererotismo che la portano al danneggiamento dei suoi legami affettivi, lavorativi e sociali.
Assistiamo ad una collezione di rapporti sessuali con persone sconosciute, in questa corsa a soddisfare un appagamento sessuale sempre più perverso.
Anche una volta diventata madre, Joe continua a distruggere la sua vita: si spinge fino al sadomasochismo e anche se il suo corpo inizia a dare segni di sofferenza, lei continua ad alimentare la sua dipendenza.
In questo excursus tra le dipendenze narrate dal cinema si può comprendere come un approccio tossico nei confronti di sostanze o comportamenti possa nuocere gravemente alla vita di una persona.
Ai suoi legami personali e sociali, ma soprattutto alla sua salute psico-fisica.
L’unica soluzione rimane quella di affidarsi ad un piano di cure specifiche che possano riportare l’individuo al centro della sua esistenza, ristabilendo un suo equilibrio.
La chiave sta nel ritrovare sé stessi, o trovarsi per la prima volta, comprendendo i propri limiti e le capacità ma soprattutto un obiettivo da perseguire.
