The Accountant, la recensione del film su Netflix
Nei thriller o nei noir, di solito il contabile della mala è una figura poco significativa, funzionale al plot (come il Walter Payne nel classico The Untouchable, 1987, Brian de Palma), o al massimo lo spunto per qualche gag a margine (come il contabile italo americano de Three days to kill, 2014, sceneggiatura di Luc Besson).
The Accountant. I nuovi contabili della malavita
Qui invece Chris Wolff, l’accountant, è il protagonista indiscusso, che si muove con discrezione nel sottobosco illegale di narcotrafficanti , terroristi globali e malavitosi da piccolo cabotaggio. Un freelance di grande talento, che offre con successo (e con la massima riservatezza) i suoi servigi in tutto il mondo, comodamente rintanato sotto falso nome in un anonimo sobborgo dell’Illinois, fuori dal radar del Dipartimento del Tesoro.
Il suo talento unico, che lo mette in grado di revisionare decenni di financial statements in una sola nottata, trovando vizi, difetti e truffe aziendali, ha però un’origine insospettabile: affetto fin da bambino dalla sindrome di Asperger, abbandonato dalla madre e cresciuto con il fratello più giovane dal padre marine, che lo addestra inflessibilmente alla disciplina, all’autocontrollo, e alla difesa personale, Chris difende meticolosamente la sua solitudine, la sua privacy e la sua libertà, sempre pronto a scomparire, cambiando identità (ogni volta scegliendo un geniale – e semi-autistico – matematico del passato), con la sua casa mobile a rimorchio.
E poi il Tesoro si interessa di nuovo a lui, per motivi che si intrecciano alle vicende personali del Direttore King e di Mary Medina, collaboratrice poco entusiasta ma molto ostinata nell’indagine che si stringe sempre più attorno a Chris. Nel frattempo l’ultimo suo lavoro su commissione si rivela un verminaio troppo marcio per potersene tirar fuori semplicemente come al solito, e le cose si complicano molto rapidamente. Con finale a sorpresa (multipla).
Il film
The Accountant è un film ben confezionato e ragionevolmente intrigante, in grado di tenere l’attenzione per due ore buone senza troppe smagliature evidenti. Il doppio piano narrativo (Chris-accountant e Chris-bambino) funziona bene, dando continui rimandi e spunti che alimentano la vicenda al presente, preparando la sorpresa finale.
Ben Affleck è abbastanza credibile nella parte, riuscendo anche nelle scene più movimentate a non forzare troppo la caratterizzazione dell’adulto-Asperger, scarsamente comunicativo (ai limiti dell’afasico), routinario, apparentemente poco empatico, e muovendosi bene nella cornice (ben costruita) di anonimato, solitudine e ripetitività di gesti – claustrofobica – che si è costruito, che lo avvolge e lo protegge. Meno credibile (almeno per i non-addetti-ai-lavori) la sua capacità di cambiare così repentinamente modalità, calandosi velocemente nei panni del cecchino / esperto di arti marziali, in grado di affrontare e dominare ogni avversario.
Il plot, fatte salve le riserve di credibilità di cui sopra, regge bene, è ben articolato e incardinato, permettendosi anche il lusso di un finale semi-aperto (ad un seguito?). Anche se non risulterà memorabile, e difficilmente entrerà nella vostra top-twenty, the Accountant non mancherà di coinvolgervi e colpirvi.