I’m in love with Pippa Bacca, il nuovo struggente film di Simone Manetti

L’ultimo viaggio di Pippa Bacca raccontato da Simone Manetti
Una telecamera riprende amatorialmente una coppia di novelli, sorridenti e timidi sposi turchi. Lei è agghindata in un pomposo vestito bianco, piuttosto démodé. Fino a qui, tutto sembrerebbe bellissimo, quasi tenero, se non fosse per un inquietante, e nemmeno troppo insignificante, particolare: la videocamera è sorretta da un loro cugino, che è uno stupratore ed assassino. E, particolare ancora più agghiacciante, che la videocamera in questione apparteneva alla sua vittima, l’artista milanese Pippa Bacca (all’anagrafe Giuseppina Pasqualina di Marineo, Milano 1974-Gebze 2008), morta dodici anni fa, a soli trentaquattro anni, in Turchia, durante la sua ultima e più potente performance. La sua storia, rendendole giustizia, è stata finalmente svelata e raccontata da uno struggente documentario diretto da Simone Manetti e presentato, oltre che in vari festival, all’ultima edizione del festival internazionale Lo schermo dell’arte, appena conclusosi (ma ancora aperto alla visione streaming fino al 22 novembre).
We are in love with Pippa Bacca
I’m in love with Pippa Bacca – questo il titolo – ripercorre, tra montaggi originali ed inediti dei filmati della performance e interviste ad amici e membri della famiglia, degni ma commossi e commoventi, la storia personale e artistica di Pippa; una storia inestricabilmente ordita da un filo di amaro ma toccante spirito di avventura, fiducia, dedizione all’altro, che la giovane donna ha sempre infuso nella sua pratica performativa. Per una strana quanto quasi profetica ironia della sorte, la sua ultima, tragica performance (Spose in viaggio) la vedeva, insieme all’artista Silvia Moro, vestita di un poderoso abito da sposa di ben undici strati, che via via si alleggeriva ad ogni sosta in ognuna delle città designate come tappa di un percorso che, dal commiato milanese, melanconico e velato di presagi, avrebbe dovuto arrivare fino a Gerusalemme. Passando per la Slovenia, la Croazia, la Bosnia, la Bulgaria, la Turchia, la Siria, il Libano, la Giordania, Pippa Bacca e la sua collega toccavano le città martoriate dalla guerra per infondervi messaggi pacifici e di speranza. Tutto questo in autostop, pratica di pellegrinaggio e vagabondaggio che la giovane artista adorava da tempi insospettabilmente immemori, come ricorda nel documentario la madre, che da sempre ha abituato le sue cinque figlie ad una vita libera, non convenzionale, assolutamente “femminista” ed emancipata.

Da autentica “nipote d’arte” (lo zio era l’artista Manzoni, “quello vero, Piero”, come cantano i Baustelle), Pippa aveva ereditato l’amore per l’objet trouvé, introducendo però il passaggio ulteriore della trasformazione e della “mutazione chirurgica” dell’oggetto in un oggetto “altro”, facendo uso copioso del collage e dell’uncinetto. Le bamboline-sposa che donava, ad ogni sua sosta del viaggio, ad alcune passanti e soprattutto alle ostetriche che volontariamente incontrava e a cui faceva la lavanda dei piedi in segno di estremo rispetto per favorire la vita in ambienti mortiferi, erano da lei sapientemente ricamate all’uncinetto, nelle faticosissime pause di una performance lunghissima ed estenuante. Cominciata l’8 marzo, non casualmente giornata internazionale della donna, l’impresa artistica, tra corse, speranze, delusioni, passaggi, soste, cambiamenti repentini, era una vera prova di forza, che solo la tenacia e la convinzione di Pippa Bacca avrebbero potuto e saputo portare avanti. Nonostante il peso del suo vestito e le scarpe col tacco, rigorosamente bianche e troppo alte e scomode, aveva proseguito con ostinazione e coriacea fiducia nel prossimo, facendo desistere, con qualche postumo senso di colpa, la collega Silvia Moro, che la lascia ad Istanbul riprendendo il viaggio al contrario, di nuovo verso Milano. Ed è proprio a Istanbul, in quell’ultimo autostop di una sera del 23 marzo, che la vita di Pippa si ferma: caricata in macchina, viene aggredita, uccisa, abbandonata e derubata del suo strumento di documentazione più prezioso. Ma non si fermano la sua speranza e il suo messaggio artistico, ancora più potenziati dall’eco del film di Simone Manetti: in un atto di estremo quanto crudele atto di libertà, l’insegnamento di Pippa di essere fiduciosi e di credere nella giustizia e nella giustezza del mondo e delle persone, permane, vitale ed energico. Lo stesso sentimento di placida e tenera concordia si percepisce nella delicata conduzione del film, che nella pratica visiva e narrativa ricorda anche le opere della regista Alina Marazzi. Quando sarebbe facile abbandonarsi alla colera, al rancore, al senso di iniquità, l’esempio opposto di Pippa, nella vita come nella morte, conduce ad una riflessione profonda sulla riconciliazione personale e universale.