Sto pensando di finirla qui. Con questo film.

Il nuovo film di Charlie Kaufman su Netflix
Sto pensando di finirla qui. L’ho pensato più e più volte l’altra sera, sintonizzata su Netflix e carica di altissime aspettative, guardando il nuovo film di Charlie Kaufman, tratto dall’omonimo romanzo (I’m thinking of ending things) uscito qualche anno fa dalla penna del canadese Iain Reid. Ma sono comunque rimasta, stoicamente e bonariamente seduta sul divano per quasi due ore, in attesa che il film ricompensasse finalmente lo spettatore conducendolo verso una illuminazione, che è arrivata ma con grande difficoltà e sforzo di concentrazione. Ho cercato di leggere con imparzialità le numerose critiche positive che hanno accompagnato l’uscita del film, cercando di trovare nelle “dietrologie” interpretative e nei voli pindarici sulle prospettive simboliche di questa esperienza filmica – quantomeno unica – alcuni aspetti positivi. Uno di questi è sicuramente il cast, per la maggior parte già visto ed apprezzato in serie note come Fargo, da cui l’atmosfera del film sembra mutuare moltissimo. Se non fosse infatti per le interpretazioni carismatiche di Toni Collette, Jesse Plemons, David Thewlis e Jessie Buckley (i quattro principali protagonisti della trama), forse davvero avrei pensato di finirla qui. Ma molto, molto prima del tanto atteso e illusorio “the end”. Sicuramente la maestria cinematografica di Kaufman è riconoscibile e meritevole anche in alcuni espedienti “tecnici” che accompagnano le sequenze del film, nell’ambientazione kubrickiana della tensione psicologica dei personaggi, nell’atmosfera ovattata (sottolineata dal paesaggio innevato che tutto copre e cancella) che investe oggetti, situazioni e persone e nella vena sicuramente anti-conformista che sottende lo spirito del film. Così come gli esperimenti metacinematografici che proiettano i personaggi e la trama in una doppia dimensione, che è un continuo rimando a situazioni vissute – precedentemente o simultaneamente – dai protagonisti: dal recital-musical, alla storica pubblicità americana di Tulsey Town, ai glitch che sembrano delle falle di software incantati. Del resto, da Being John Malkovich a Eternal Sunshine of a Spotless Mind, il regista ha abituato gli spettatori ad una sceneggiatura visionaria e ironica, sicuramente e volutamente disordinata e difforme. Definito onirico, sarcastico, caleidoscopico, policromo, allegorico (e aggiungerei morboso), l’elenco degli aggettivi sicuramente si addice alla nuova opera di Kaufman; ma l’inconsistenza narrativa che accompagna il film è assolutamente siderale.
L’inconsistenza siderale della narrazione
La trama, appesantita da uno slittamento dialogico oppressivo e denso di citazioni e richiami letterari e visivi, gioca su molteplici piani che si intersecano. Il plot “semplice” parla della storia di una giovane coppia, Jake e Lucy (che nel film avrà tre nomi diversi, Lucia, Louise e Yvonne) che, in una nevosa notte da horror soft, è in viaggio verso la casa di famiglia di lui, nella quale i due genitori li attendono per le presentazioni ufficiali. Nei pensieri di lei c’è già il desiderio di rottura da questo ragazzo nerd, introverso, buono e premuroso, ma nonostante tutto si sta autonomamente imprigionando in una situazione senza ritorno. Da questo momento in poi le incongruenze cognitive si moltiplicano, conducendo lo spettatore verso piste di abissi inesplorati: i genitori e gli animali della fattoria che abitano attraversano stati vitali ed età nell’arco di poche sequenze, e intorno a loro muta tutto il paesaggio umano e ambientale (dalle fotografie, agli abiti, alla decorazione). In tutto questo caos mirabolante anche la giovane coppia, che pure rimane intatta fino alla fine del film, sembra assumere identità simbiotiche e deliranti, come se la frustrazione di lui fagocitasse il dinamismo di lei; tanto da far presupporre, ad un certo punto, che questa fantomatica ragazza non sia mai esistita, ma che sia il frutto della proiezione mentale del potenziale fidanzato, a sua volta verosimilmente identificabile con un rubicondo e anziano bidello della scuola superiore di Jake, che interviene come elemento disturbatore della coppia in molti interludi.

Moltissimi sono i dettagli che costringono lo spettatore a una visione attenta, ma che non esige necessariamente una spiegazione e una interpretazione di tutti i fenomeni reconditi che hanno mosso l’inventiva criptica e trasfigurata delle facoltà mentali e immaginifiche di Kaufman.