MIO FIGLIO | Il “Taken” francese alle pendici del Monte Bianco
Tra le numerose pellicole che la fine della plumbea estate 2018 ci ha regalato, l’ultimo film di Christian Carion è forse quello che più ci prepara al nevoso panorama invernale, scaldati da cioccolate calde e copertoni pesanti.
Mio Figlio (titolo originale “Mon Garçon”) è infatti un claustrofobico thriller, ambientato nelle meravigliose e fredde valli alpine che punteggiano il paesaggio montano tra l’Alta Savoia e la Valle d’Aosta.
Julien Perrin (interpretato da Guillame Canet) è un contractor perennemente in viaggio per lavoro. Tra un’ispezione a cantieri in Nigeria e altre in Sud America, il suo matrimonio con Marie Blanchard (Mélanie Laurent, l’attrice e regista che ci ha regalato l’indimenticabile performance di Shosanna in “Bastardi senza gloria”) va in pezzi, separando il nostro dal suo piccolissimo figlio.
La trama incalza da subito lo spettatore con il rapimento del pargolo, mentre questi era in un centro estivo, presumibilmente circondato dalla security del parco e dagli altri bambini.
Un vero “elefante nella stanza”, fonte sia di plauso che di critiche, è la mancanza di sceneggiatura.
Il film è stato girato in soli sette giorni, senza un copione, e nasce da una sorta di sfida, per non dire scommessa, tra il regista e Guillaume Canet. Complice la profonda fiducia che lega i due artisti (attualmente al loro terzo lavoro su set insieme) il canovaccio della pellicola è stato deciso in pochi secondi dai due, che in perfetto stile “Commedia dell’arte” sono partiti dal punto centrale della trama, la notizia del rapimento, per poi costruire in poco tempo, quasi improvvisando, un’intera trama capace di sostenere il grande schermo per tutti gli 82 minuti del montaggio finale.
Un’impresa sicuramente difficile, e non per tutti, riuscita soprattutto per merito della sconfinata passione per regia e interpretazione dei due artisti, che come due equilibristi si destreggiano sul sottile filo che separa i cliché hollywoodiani del caso ad un lavoro più che originale, e orgogliosamente tutto francese.
L’indagine del protagonista sfrutta tutti gli espedienti più classici dell’investigazione, trasformandoli però in qualcosa di nuovo e di fatto diverso.
Julien Perrin non è l’eroe senza macchia votato al bene e devoto alla famiglia, è invece un padre assente, iracondo, un anti-eroe impulsivo che al primo sospetto fa volare i pugni, piuttosto che sincerarsi della verità delle sue teorie.
Il personaggio interpretato da Canet non ci penserà due volte (ma forse neanche una) prima di immobilizzare il sospetto di turno e torturarlo in scenari che riportano gli spettatori con il gusto dell’horror a film come Hostel.
Ma la violenza, seppur improvvisa, non è mai il focus dell’azione e mai gratuita.
Gli eventi spingono Perrin ad utilizzare questi metodi, descrivendo al tempo stesso una macchina giudiziaria lenta e indifferente, con ufficiali di polizia più attenti a inseguire gli stereotipi di genere che arrestare rapitori di minorenni.
Non per questo però il film celebra il giustizialismo fai-da-te, anzi, il regista nel finale prepara un trionfo del sistema poliziesco, seppur con toni molto amari, confezionando un lieto fine agrodolce che lascia la platea piuttosto spiazzata.
Ed è proprio sul finale che l’azzardo del non avere una sceneggiatura si fa sentire di più.
Le sequenze di coda non eccellono per chiarezza e si susseguono con un montaggio serratissimo senza dare vere e proprie risposte agli interrogativi che uno spettatore attento potrebbe porsi durante la visione. Un editing che non rende giustizia al lavoro finale, confondendo il pubblico che rimane incollato alla poltrona non per le scene d’azione, ma per tentare di carpire qualcosa di più in quello che i più maliziosi definirebbero un finale aperto.
Le scenografie naturali sono mozzafiato e scarrellano da guglie di granito a immense foreste alpine ricoperte di neve. Meno ricercati gli interni, per lo più claustrofobiche case dormitorio, polverose e abbandonate all’apparenza, che unitamente alla colorazione fredda e glaciale scelta per la pellicola, infondono in chi guarda malessere e inquietudine in un fragoroso silenzio, amplificato dalla quasi totale assenza di musiche o colonne sonore.
Esperimento riuscito o idea ancora da limare? La sentenza al pubblico.
Voto: 7 winter is coming su 10
Dati tecnici di Mio figlio
TITOLO: Mio Figlio (Mon Garçon)
USCITA: 27 settembre 2018
REGIA: Christian Carion
SCENEGGIATURA: Christian Carion, Laure Irrmann
DURATA: 82 minuti
GENERE: Thriller
PAESE: Francia
PRODUZIONE: Nord-Ouset Films
DISTRIBUZIONE (ITALIA): No.Mad Entertainment
FOTOGRAFIA: Eric Dumont
MONTAGGIO: Loïc Lallemand
CAST: Guillame Canet, Mèlanie Laurent, Olivier de Benoist, Antoine Hamel, Mohamed Brikat, Lino Papa, Christophe Rossignon, Pierre Desmaret