ROMA | Il sentimento al di là del tempo

Presentato in concorso alla 75a Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia Roma del pluripremiato Alfonso Cuarón è un vero e proprio spaccato di vita. Il luogo deputato è Roma, però non la città eterna, bensì un quartiere così chiamato a Città del Messico.
Roma segue la vita di Cléo (Yalitza Aparicio), che lavora come domestica in una famiglia della borghesia messicana.
Da qui sembrerebbe una breve sinossi non tanto interessante, se a buttarci pepe non fosse che è una storia vera, realmente vissuta dal regista, dedicata e disegnata sull’amore per la sua domestica che lo ha cresciuto come fosse una mamma. Questo percorso così intimo di Cuarón ha fatto sì che venisse fuori un progetto vivido, un ritratto emotivo ed emozionale della vita della domestica. Un microcosmo che ha per sfondo un macrocosco con tumulti e rivolte avvenute negli anni ’70 in Messico, Paese che stava passando un importante momento di trasformazione.
Cléo è basato su un personaggio reale, la mia bambinaia. Faceva parte della famiglia e noi siamo diventati la sua. La cosa interessante di questo film è il processo del ricordo, della memoria. Quando si cresce con qualcuno che si ama, non si mette mai in in discussione la sua identità. Invece qui mi sono sforzato a vedere Cléo come una donna, che fa parte della classe più bassa, con delle origini indigene e ciò mi ha fatto fare delle domande che io all’epoca non mi facevo. Sicuramente nella mia vita le donne sono state quelle che hanno portato avanti la casa, non c’erano uomini. Te ne rendi conto subito, c’è una grande differenza.
Questo film è stato pensato e voluto fortemente per quindici anni, fino a quando Alfonso Cuarón ha deciso che ormai non si poteva aspettare oltre.
Era il momento di tornare in Messico con le risorse, gli strumenti e le tecniche acquisite negli anni.
108 giorni di lavorazione per ritornare al passato e focalizzare i dettagli di quello che aveva vissuto all’epoca.
Il modo per arrivare alla naturalezza e all’innocenza dei suoi ricordi è stato molto particolare, cominciando dal casting. Il provino di un piccolo gruppo selezionato di persone consisteva nel parlare di se stessi davanti la macchina da presa. Gli attori dovevano somigliare il più possibile ai personaggi reali.
La scelta della protagonista quindi è caduta su Yalitza Aparicio, una ragazza che non aveva nessun tipo di esperienza attoriale, scoperta dal casting director in un villaggio messicano. Il casting poi ha chiesto alla ragazza chi fosse la sua migliore amica e lei presentò loro Nancy Garcìa che interpreta la parte della sua migliore amica anche nel film. Ogni singolo personaggio quindi è stato ricercato con una precisione maniacale, e addirittura le comparse sono state passate al setaccio
Per rendere tutto naturale neanche la sceneggiatura è stata distribuita. Il cast avrebbe voluto leggerla, così come la crew, ma solo il regista aveva in mano l’intero progetto, sia su carta che in mente. Gli attori sono venuti a conoscenza dello script giorno per giorno, pagina per pagina. Era una sorpresa conoscere come procedeva la storia. Per forza di cose, quindi, è stato girato in ordine cronologico, proprio per permettere questa “sorpresa” e per far sì che la storia si creasse davanti agli occhi di tutti.
Volevo che le cose fossero molto naturali e volevo che come le persone scoprono cosa succede nella vita giorno per giorno, così i personaggi scoprissero come si sarebbo evoluti giorno per giorno.
La crew è composta da messicani, perché Cuaròn aveva bisogno di persone che comprendessero e in parte conoscessero le emozioni che voleva trasferire nei personaggi e nel film.
La scelta immediata è stata quella di girare in bianco e nero.
Il bianco e nero è il dna del film. Quando il film è nato c’erano tre elementi chiari: Cléo, lo strumento della memoria per scoprire questo film, e il bianco e nero. Non volevo fare un film nostalgico. Il bianco e nero è un bianco e nero contemporaneo, digitale, definito. Con questo formato noi volevamo parlare del passato. Le immagini dovevano essere obiettive e oggettive. Per esempio quello che mi interessava era osservare le rivolte per strada con una certa distanza, senza che la telecamera si intromettesse e anche questo è stato stabilito dall’inizio. Inoltra bisognava carpire il tempo reale quanto più possibile, lavorare su tempistiche legate al vero svorrere del tempo, senza dover per forza montare in velocità. Così girato sia il contesto sociale che quello familiare. Nessuno è più importante dell’altro. È lo spettatore che vede e assorbe questi simboli.
Lo scenografo Eugenio Caballero, premio Oscar, ha ricostruito la Roma messicana che è ancora vivida nella sua memoria. Nonostante le scene siano state girate per la maggior parte nei posti esatti della memoria, si doveva comunque ricreare un tempo e un’atmosfera che nella modernità non sarebbero stati possibili. Quindi si è ricostruita una nuova casa all’interno della casa stessa e sono stati utilizzati mobili e molti oggetti che realmente appartenevano alla famiglia del regista. Persino il cane è identico a quello che aveva lui, anche nei comportamenti.
Roma sarà distribuito in tutto il mondo sia nelle sale cinematografiche, sia su Netflix.
La condizione ideale sarebbe una sala con grande schermo, ma l’importante è che il film abbia un impatto che non si perda nel tempo. C’e’ bisogno di avere coscienza che questo film esista. Sono molto grado a Netflix che ci ha sostenuto.
Quello che ci lascia Roma è la sensazione di aver visto una storia universale. Una storia che racconta lo spaccato di vita di una donna che ama, che sta male, che lotta, che continua a rialzarsi dopo ogni caduta, la vita che tutti viviamo e potremo vivere, perché la verità è che tutti noi amiamo e soffriamo nella stessa maniera, i sentimenti e le passioni vanno al di là della classe sociale e del tempo.