Roma: la generazione che oscilla tra illusione e disperazione
Nel bel paese la situazione degli under 40 è sempre più preoccupante. Nella capitale in particolare, il deterioramento delle condizioni sociali e d’impiego non lasciano molte speranze a una classe di giovani costretti a restare a casa con i genitori.
Le cifre fornite dall’Agenzia italiana del giornalismo sono semplicemente spaventose e fanno venire le vertigini: il 60% dei 18-29 anni vivono ancora a casa con i genitori! Ma c’è un particolare che non deve essere dimenticato, questi giovani non hanno scelto questa condizione di vita. Perché l’Italia è piena di giovani volenterosi e di belle speranze i “bamboccioni” magari ci saranno ma sono una minoranza.
Generazione persa, questa una delle espressioni più ricorrenti per definire quello che dovrebbe essere il futuro del nostro paese. La realtà dei fatti è spaventosa: un terzo dei giovani tra i 20 e i 40 anni sono senza occupazione e la cosa è estesa anche a chi ha la fortuna di avere una laurea conquistata con le unghie e con i denti. Inoltre i giovani che hanno la fortuna di lavorare non hanno comunque la possibilità di compiere il grande passo data la precarietà della situazione non possono vivere da soli.
Come il caso di Cristina, 36 anni, una donna che vive nella capitale con la quale ho affrontato la questione vista la sua disponibilità nel concedermi una piccola chiacchierata sull’argomento. Laureata in scienze politiche, ha dovuto accettare un lavoro alla Ikea a tempo determinato, un impiego che non ha nulla a che fare con quello che ha studiato e per cui è molto preparata.
“Dieci anni fa, quando mi sono laureata ho cominciato a lavorare, ho potuto affittare uno studio. Oggi è impossibile! Il più piccolo appartamento a Roma costa 600 euro al mese!”.
Assurdo che ciò possa sembrare reale ma il salario di 1000 euro al mese è visto da molti dei suoi coetanei come un privilegio.
“Siamo sotto contratto a tempo determinato e per loro è un lusso”. Un lusso sul quale certamente le imprese non dimenticano di fare pressioni. “Qualche mese fa, Ikea ha riunito i suoi venditori per una giornata motivazionale nella quale ci hanno ricordato il privilegio dello stipendio e come sia un lusso godere della tredicesima mensilità, delle ferie e dei diritti sociali”. Cristina però precisa: “Per me queste sono le regole basilari e tali dovrebbero essere e non devono costituire un privilegio!”.
Lo scorso 2 giugno il Presidente del Consiglio Enrico Letta pubblicò una lettera sulla “Stampa” per presentare le sue scuse ai giovani costretti a emigrare all’estero: “Le scuse a nome di una politica che per anni ha fatto finta di non capire e che, con parole, azioni e omissioni, ha consentito questa dissipazione di passione, sacrifici, competenze”.
Reso vulnerabile e fragile dalla minaccia proliferata da Berlusconi di ritirargli il proprio sostegno (Almeno fino alla sorpresa di ieri), il governo non proseguì sulla questione, anche se fece un gesto indirizzato ai più giovani annunciando a settembre un vasto piano di sostegno all’educazione.
Questo contesto sociale ha evidentemente le sue conseguenze sulla vita privata dei giovani italiani. Il tasso di fecondità resta uno dei più deboli d’Europa e i matrimoni sono sempre più rari (10 000 in meno nel 2012 rispetto al 2011).
“E’ logico!”, sentenzia Cristina. “Come potete costruire una relazione se non avete nemmeno una casa? E come pensate di occuparvi di bambini quando siete ancora dipendenti dei vostri genitori? Ero fidanzata anche io ma abbiamo dovuto interrompere il rapporto perché non avevamo un futuro”. Una dichiarazione che accompagnata da uno sguardo perso suona come un pugno allo stomaco.
Cristina mi ricorda che i giovani vogliono andare via dall’Italia, per lei forse ora è più complicato. Quello di emigrare è un desiderio condiviso da un grande numero di giovani italiani. La fondazione cattolica Migrantes stima nel suo Rapporto italiani nel mondo 2012, a 79 000 il numero di espatriati nel 2012, dopo i 61 000 del 2011.
Molti non hanno nemmeno chiara in testa la destinazione ma la partenza rimane l’unica certezza. Rimanere per molti suona come una condanna, come una vita segnata dall’angosciante incertezza fatta di contratti a tempo determinato in chissà quali aziende per stipendi piuttosto bassi e rivendicati come tesori. La prospettiva di un futuro sembra sempre più essere soltanto un miraggio o piuttosto o privilegio riservato ai “figli di” nella più classica tradizione italiana.
Manuel Giannantonio
22 ottobre 2013