La distruzione umana e culturale in Siria: “Silenzio, si muore”
In questi ultimi quattro giorni la questione siriana è tornata al centro dell’attenzione dei media nazionali per via del fermo di quattro giornalisti italiani, tuttora bloccati dalle autorità per dei controlli. Erano andati in Siria per lavorare a un reportage dal titolo “Silenzio, si muore”.
Un titolo che ben esprime quello che sta succedendo nel Paese, dove negli ultimi due anni la protesta anti-Assad è diventata prima repressione, poi vera e propria guerra civile. Una guerra che silenziosamente ogni giorno fa lievitare il numero delle vittime, la maggior parte delle quali sono donne e bambini. Basti pensare che nel mese di marzo appena concluso, secondo dati forniti dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, le vittime sono state oltre seimila.
Oggi due nuove stragi di civili hanno avuto luogo a Damasco ed Aleppo. Nella capitale un’autobomba ha causato la morte di almeno 15 persone ed il ferimento di circa 50 cittadini. Ad Aleppo invece si è consumata una nuova strage di bambini, almeno 15 le vittime.
Nel corso degli ultimi 24 mesi più volte si è cercato di comprendere, di raccontare, di analizzare quello che accade in Siria, ma resta difficile farlo: è il silenzio che fa sbriciolare ogni giorno di più i palazzi e le vie nelle città siriane. Un silenzio che non è dato dall’assenza di informazioni ma dalla cattiva comunicazione, mediata male da una stampa estera che non sempre riesce a cogliere veramente ciò che accade ma che si limita ad aggiornare i lettori sulla stima delle vittime.
Quando guardi da lontano un posto difficilmente riesci a sentire quello che accade, lo puoi vedere, spesso anche poco nitidamente. Per questo per noi italiani resta difficile udire le grida degli attivisti che combattono per le strade di Homs o di Damasco, o il boato di una bomba che distrugge mezza palazzina ad Aleppo uccidendo tre famiglie in pochi secondi… o i pianti di chi abbandona il suo paese, verso il confine turco, guardandosi intorno sperando di non venire fucilato dai cecchini di Assad. Da lontano è perfino difficile udire la cultura che si sgretola, come l’antica città di Ebla, vecchia di 5.000 anni, o la città romana di Palmyra: bombardate, dimenticate e saccheggiate.
Pensando ai quattro giornalisti italiani in stato di fermo possiamo dire che in Siria nel “Silenzio, si muore”, ma non dovremmo scordare che spesso si muore anche di silenzio.
Enrico Ferdinandi
(Twitter @FerdinandiE)
8 aprile 2013