Fabrizio Frizzi ci ha lasciato e “passa” la sua eredità a tutti gli italiani che l’hanno amato

Domenica 25 Marzo era al suo posto, puntuale come tutte le sere alle 18.45. Ma qualcosa sul suo volto ci ha lasciati un po’ perplessi, quasi un’ ombra su quel suo sorriso sempre così aperto, luminoso. Ecco, ci è sembrato un po’ stanco, affaticato. E ci siamo chiesti se mandare in onda la sua trasmissione L’Eredità anche la domenica non fosse un gioco troppo azzardato per le sue forze debilitate dal recente ictus dell’ ottobre scorso.
Stamattina la notizia. Una notizia che ci ha colpiti come una bomba. E ci assale un insopprimibile nodo alla gola, che difficilmente ci abbandonerà ogni sera che arriverà l’ora della trasmissione e ci renderemo conto che Fabrizio non c’è, non è più fra noi. Se n’è andato un grande amico, quasi e più di un parente, quello che tutte le sere entrava nelle nostre case con discrezione, umiltà, semplicità, moralità, eleganza, in un momento in cui il Paese soffre per le intemperanze verbali di molti personaggi e la mancanza diffusa di moralità. Trattava tutti i concorrenti alla stessa maniera, mai un velato commento di fronte a certi macroscopici errori di alcuni, mai un commento polemico all’apparire di alcune signore malamente vestite o svestite. Di contro, sapeva sottolineare con garbo la sobria eleganza di altre.
Sessanta anni compiuti lo scorso febbraio – e non li dimostrava -, era stato sposato con Rita Dalla Chiesa dal 1992 al 1998 con divorzio ufficiale nel 2002. Si era legato quindi alla giornalista Carlotta Mantovan, che sposò nel 2014 e dalla quale ebbe la figlia Stella, che amava moltissimo. Nella sua lunga carriera di presentatore, di regista televisivo ed anche di doppiatore, fra i vari premi e riconoscimenti , fu insignito nel 2015 dell’onorificenza di Commendatore dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana.
Al di là della nuda biografia, di tutti i suoi successi ufficiali, resta con noi il Fabrizio ricco della sua bonomia, della sua positività, quel ragazzone della porta accanto che ogni sera suonava il nostro campanello per tenerci compagnia con le sue bellissime “professoresse”. Con L’Eredità tutti gli italiani hanno imparato tante di quelle cose che non sapevano, soprattutto a restare umili come te, amico nostro.
Ti salutiamo semplicemente, senza ghirigori verbali, senza citazioni di prammatica. Ovunque ora tu sia, la tua figura non ha bisogno di orpelli, perché resta indenne dentro di noi con tanto affetto e, al momento, con dolore cocente per non ritrovarti anche stasera, anche domani, anche dopodomani.
Angela Grazia Arcuri