XXVIII Conferenza Internazionale: “La Chiesa a servizio della persona anziana malata”
Il 21, il 22 ed il 23 novembre 2013 al Vaticano si tiene una Conferenza sullo stato di salute e di assistenza da dare alle persone anziane malate, dal titolo “La Chiesa a servizio della persona anziana malata“. Si è aperta la discussione e la dissertazione con il racconto che dal 1933 i becchini olandesi contavano un numero di morti sempre superiore. Nel 1952 e nel 1960 le casse da morto in aumento erano di bambini e persone anziane. Già nel 1890, la notte di San Silvestro non si sarebbe considerato come scandalo la morte di un giovane. Una volta si aveva grande stima per gli anziani, mentre oggi non è così. Pochi vogliono conoscere il modo per arrivare alla soglia di una certa età: ciò che interessa di più è rimanere più a lungo giovani. Sono aumentati gli interventi di chirurgia plastica, ad esempio, per questo. Anche nelle persone con più di 65 anni la malattia sembra uno scandalo. Ciò porta a varie conseguenze, una delle quali: il modo negativo, per l’anziano, di vedere la malattia. E gli operatori della salute vedono gli anziani come una cultura di un fenomeno di massa in base alla crescita della prosperità. Ciò porta l’anziano stesso a scegliere da se i doveri etici. Tra le altre cose egli dovrebbe, per prima cosa: non essere “pecorone”; in secondo luogo: creare uno “sviluppo” di se stesso, e terzo: sentirsi bene con se stesso ed essere autonomo.
Si pensa al corpo come qualcosa di strumentale: ciò comporta forse un punto di forza per i giovani, ma non per i più anziani. Si può ridare dignità all’anziano malato, soprattutto, se lo si rispetta, come si è già detto. Per non far perdere la ragione ad un anziano malato, (fin’anche a fargli pensare all’eutanasia), bisogna accompagnarlo nella scelta della fine della vita. S. Maria della Trinità disse che non erano superiori coloro che si affidavano alla vita da quelli che si affidavano alla morte. L’uomo è stato creato ad immagine di Dio ed il Concilio Vaticano II sostiene che per la stessa sua condizione materiale, i suoi “vertici” non devono disprezzare la vita corporale. Giovanni Paolo II ha scritto che la vita umana è sempre un bene ( e Lui stesso ce lo ha insegnato): ha resistito fino alla fine, per quanto intaccato dalla sua malattia. Un malato deve prendere la sua malattia come una chiamata di Dio alla condivisione delle sue passate sofferenze sulla croce. Il problema è come si possa aiutare a condividere o superare la sua crisi al malato anziano. Un compito importante sta agli operatori socio sanitari. Non bisogna che il malato anziano si dia alla passività, e deve essere testimonianza per gli altri, senza vergognarsene. Ne fu un esempio, di nuovo, lo stesso Giovanni Paolo II, che non nascose il suo male, ed anzi continuò ad essere Leader nel suo cammino di vita e di “lavoro” clericale.
L’11 febbraio 2000 incoraggiò tutti i malati a fare lo stesso. E annuncia il Vangelo che con la sofferenza si testimonia Cristo. L’operatore socio sanitario deve lasciare percepire un’immagine del malato: forte. E bisogna che si mostri interesse per l’anziano che abbia un morbo. Si deve mostrare interesse, anche quando la malattia sia inguaribile. E può apprendere dal malato anziano, che può essere per lui una risorsa. Anche l’Handicap non deve essere considerato un limite, ma una volta consapevoli di se, si può cambiare atteggiamento e “formare” una volontà di guidare la propria vita. G. Paolo II è stato un’icona di tutto ciò. Si potrebbe, aggiunge un Monsignore, prendere d’esempio la Parabola del Buon Samaritano, quando, dopo aver spiegato Gesù che chiunque si soccorrerà con amore è il nostro prossimo, ed un medico gli chiese chi aveva dato qualcosa all’altro: Gesù rispose che fu chi aveva prestato soccorso e che questo, dopo aver aiutato il Samaritano, aveva anche recuperato il rapporto con Dio. E Gesù aggiunge che il nostro prossimo è colui che si sposta dalla parte della vittima.
Gesù così, mette al centro colui che ha bisogno di aiuto ed il malato deve essere considerato, oggi, un soggetto, non un oggetto. Icona contemporanea di Gesù fu Giuseppe Moscati, medico di Napoli del primo quarto del secolo scorso, che, dedicandosi come amico ai malati, ed anche a coloro che non potevano pagare, favorendoli, dimostrò tutto questo con la sua intera vita al loro servizio. Essi, da parte loro, riconoscevano qualcosa di Cristo in lui. La Chiesa stessa deve essere una risorsa per il malato anziano. Poi si è passato a parlare, (nella prima giornata della mattinata del 21 novembre scorso), del malato anziano nella scrittura. La malattia può colpire sia il corpo che la mente ed in questo caso si tratta di malattia psicosomatica, o colpire gli uni e gli altri separatamente. Secondo la medicina è considerato anziano un uomo dai 65 anni in su, Ma per la vita comune e per noi una persona lo è dagli 0 anni ai 92 o di più. Il malato che non da lode a Dio è insensato perché la vecchiaia deve dare i suoi frutti anch’essa. Secondo la credenza biblica, la malattia era considerata una “vendetta” di Dio, quasi un castigo, ma si è già detto che nel Nuovo Testamento per Gesù non è così. Nella stessa storia di Giobbe, nella Bibbia, ciò è palese, poiché lo stesso Giobbe capisce che Dio non voglia affatto punirlo. Nel Vangelo di S. Giovanni i discepoli chiedono chi ha pietà se Lui o i suoi genitori (del malato). E , riprendendo il discorso di Giobbe, Giovanni risponde che Giobbe si rende conto di non essere colpevole di nulla, quindi che l’arrivo delle piaghe, non sia una “vendetta” di Dio.
Il malato anziano si trova a “prendere” tutte le sue facoltà e ad “offrirle” a Dio. Nel QUELET si dice: “ Ricordati dei giorni della tua giovinezza prima che ritornino le nubi dopo la pioggia”; perchè l’uomo se ne va nella dimora eterna prima che si rompa l’atmosfera alla fonte e lo spirito ritorni a Dio che lo ha dato. Qui la vecchiaia è paragonata alla vita domestica e all’inverno, come stagione. Nella vecchiaia si perdono molte facoltà dell’uomo: le mani si incurvano, gli occhi vedono di meno, le orecchie ascoltano poco, si sente di più la stanchezza, ecc… La vita di tutti noi finisce con la morte, ma quella dell’anziano è più vicina, ma a tutti tocca. Tutti siamo cenere e tutti cenere ritorneremo. Tutti siamo paragonati ad un soffio. Il giusto è l’unico che affronterà bene la vecchiaia, perché, come si accennava prima, potrà goderne dei frutti. Egli è paragonato, nella Bibbia, ad una palma, o ad un cedro. ( La lunghezza della vita gli procura la sapienza). Sarà come un albero che, piantato, avrà le foglie sempre verdi. Il signore assicura forza e giovinezza all’uomo saggio.
La giustizia genera affettività; lo è dimostrazione anche la capacità che ha un maschio di poter procreare fino a tarda età. (Per la donna non è possibile). Ma al livello spirituale, sia nell’uomo che nella donna, i suoi frutti sono i suoi consigli. Il marito e la moglie anziani si devono rispettare al pari dei giovani e di quando questi erano giovani; devono anzi essere assennati, saldi, sobri. Altro punto da rispettare nel malato anziano è l’atteggiamento di rispetto e comprensione che risale al quarto comandamento: onora tuo padre e tua madre perché tu abbia una vita lunga e serena. Non disprezzare i vecchi, perché, come si è già detto, anche noi tutti lo saremo un giorno, anziani e malati. Nel SIRACIDE si dice: “Non trascurare i discorsi dei vecchi”. La malattia sembra una maledizione ma è con essa che lo stesso Dio chiama a se. L’anziano ha molto da insegnare anche solo con la sua presenza. Poi introduce la dissertazione sulle malattie degenerative il Professor Riccardi della Comunità di SANT’EGIDIO che modererà il tutto. Il primo monsignore ci avvisa che vivere a lungo è difficile e complesso nel nostro mondo. Le “epidemie” della vecchiaia sono silenti. La questione da affrontare sulle malattie neurovegetative soprattutto sono di carattere etico e sociale. L’argomento si è trattato per diversi decenni.
Le malattie più diffuse in questo senso sono: IL MORBO DI PARKINSON e l’ALZHEIMER (60%). Ci sono varie forme. La prevalenza tocca il 7% delle persone con circa 60 anni. A livello mondiale 34 milioni. Un nuovo caso ogni quattro secondi. Le demenze raddoppiano ogni 5 anni e progrediscono ogni 90 anni dopo la morte. Chi ha una certa cultura, con l’Alzheimer soprattutto, ha meno probabilità di ammalarsi. La persona “esposta” a questo morbo è una persona pigra, in senso sia materiale che spirituale. Dopo la morte si nota che i danni procurati al cervello sono di molto superiore a quanto ci si aspettasse in vita. La seconda malattia: IL MORBO DI PARKINSON, dove c’è bradicinesia all’inizio, ha una incidenza di movimenti “inconsulti” involontari. Ma con i farmaci qualcosa si può fare oggi. Ci si ammala lo 0,3% dei sessantenni, ed il 3% dei sessantenni, ma negli USA un po’ di meno). C’è una prevalenza genetica, ma solo del 10%. Anche qui è favorito il modo di vivere attivo. Spesso però il P. è associato a forme depressive. Non c’è però un fattore determinante. La Levodopa è stata una buona scoperta. E la stimolazione cerebrale profonda (cioè un piccolo stimolatore cerebrale che, inserito nel cervello, impedisce i movimenti involontari). L’invecchiamento delle popolazioni sviluppate aumenta ciò. Una delle prime cause è la mortalità infantile e la malattia che emerge dalla giovinezza. La morte si è “spostata in avanti”, ma le condizioni di vita in vecchiaia sono peggiorate. Non è vero che il numero dei centenari sia aumentato. Il grosso problema principale è dato dalla diminuzione della natalità (dall’accoglienza dei bambini, le condizioni di accoglienza cioè e l’aborto). Per essere “giusta” una famiglia dovrebbe avere due figli per coppia. Invece vediamo che i paesi sottosviluppati ne hanno tanti, ma coloro che hanno problemi di sopravvivenza oltre i cent’anni, hanno pochi bambini.
L’aumento della vita è più faticoso e irto di “disabilità”; è aumentato in 10 paesi e diminuito in 22. La popolazione più invecchia e più soffrirà di malattie. Una persona anziana poi “consuma” e “costa”allo Stato più che un giovane; per cui si dovranno diminuire le spese per un anziano. Ma L’OMS dice che non bisogna fare distinzione tra i due tipi di popolazione. Sono sempre di più coloro che ricorrono all’eutanasia. Ma l’Eutanasia è un giudizio. La prima cosa da considerare è che è vero che la persona con malattia neurovegetativa costi di più, ma è anche vero che nella realtà essa sia mal curata. Costa meno mantenere una persona con buone cure. Quindi la prima risposta è dare cure opportune. Il secondo punto è prevenire l’aggravamento. Il primo passo in tutte e due le malattie va fatto dalla famiglia, che deve dare appoggio e affetto. Poi bisogna mettere al servizio delle cure la tecnologia.
Giovanni Paolo II diceva: “Alzati davanti a chi ha i capelli bianchi”, per non lasciare che l’anziano non creda di non contare più nulla. Parla poi il prof. SADOS che dice che bisogna, per prevenire, mangiare verdure, ridurre il tabacco e avere un “asilo” perfetto. Rispondere poi ai bisogni di una persona. Non bisogna discriminarli i malati anziani, e responsabilizzare la famiglia nella popolazione. In Germania ad esempio ci sono molti limiti nell’accettare queste persone. Ci deve essere un aiuto domestico e familiare all’altezza delle situazioni. Oltre i 60 anni bisogna proteggere l’anziano. Importanti sono anche i MEDIA. Il Prof. Fabrizio Oleari invece ci dice che sono caratteristiche di queste malattie la perdita di neuroni. L’Alzheimer, la SCLEROSI AMIOTROFICA ed il Parkinson si basano sul concetto principale di aspetto genetico-molecolare. E tutto fa riferimento al genotipo e fenotipo e su come questi due si “incontrino”. E che sia un problema di difficile rapporto . Sebbene le malattie neurovegetative siano solo l’1% dei decessi, nel 25% delle famiglia ci sono delle malattie di questo tipo.
In Italia sul SNC ci sono molti soldi spesi per curare queste persone e per ospedalizzarli. In Italia vi sono il 27% della popolazione anziana oltre i 60 anni affette da demenze viventi a basso e medio reddito. Sullo stato di salute il 10% degli uomini è diabetico ed il 7% di donne lo è, il 21% delle donne sono affette da obesità. Il Piano Sanitario 2011-2013 pone l’accento sugli anziani e sulle disabilità gravissime. E sollevano delicate questioni etiche, nelle quali c’è il progetto: “GUADAGNARE SALUTE”, la ricerca, la ricerca di base, la traslazionale e chimica, può migliorare queste patologie. Anche in Italia sono stati citati veri progetti sulla quale il migliore è il concetto di autonomia. Nel sistema assistenziale, il sistema di supporto dei sistemi etici si sono procurati degli studi epidemiologici futuri. Appare urgente studiare gli aspetti farmacologici degli psicotici per gli ultrasessantenni. Esiste però un problema di stigma. Anche le demenze sono stigmatizzanti. Ed è importante tutto ciò che deriva dall’atteggiamento verso i “grandi anziani”.
Occorre che il familiare se ne faccia carico, anche quando non vi sia capacità di intendere e volere. Il familiare deve occuparsi caso per caso, perché esiste anche chi abbia questa capacità di intendere. I diritti di questi malati non sono solo infermieristici. Oltre quello medico, va affrontato un altro skill: quello familiare. Il Prof. Von Ritter poi aggiunge che la Chiesa è vicina a questo tipo di problema. Per le crisi croniche, come per l’Alzheimer, bisogna prendere confidenza col tipo di affezione e avere responsabilità. L’approccio alla situazione deve essere sempre corretto e adatto alla soluzione e all’età. La comunicazione è fondamentale e, come nella Torre di babele, ha diverse forme di espressione. Una delle soluzioni per l’anziano affetto è dare compagnia a parlarvi. L’uomo è immagine di Dio ed è la sua dignità che è in gioco. Per comunicare bene è utile anche usare il silenzio in modo efficace. Bisogna usare parole che debbano servire al malato. I Cavalieri dell’Ordine di Malta hanno, ad esempio, parlato di questi aspetti. La famiglia deve lasciare la libertà necessaria. E ci deve essere un rapporto coi giovani.
La famiglia deve essere amicizia. La scelta di vita è la prova che il Messia ha portato la croce senza sceglierla, e la malattia è un periodo “relegato” a portare questa croce non scelta. Gli Afroamericani, aggiunge un monsignore, sono più dementi degli africani. Vi sono problemi forti di ipertensione in Tanzania. Il controllo delle malattie avviene non solo in ospedale ma anche in famiglia. Curare e prendersi cura sono due cose diverse. Col fenomeno delle badanti, (più comune nel Nord Europa), la situazione di approccio alla malattia dell’anziano è mutato. Non è che se si è ricoverati in una struttura, bisogna dimenticarsi di andare a trovare il parente anziano malato o dimenticarne le attenzioni da rivolgergli. Questi cittadini non vanno “chiusi in un frigorifero”, ma farli partecipare all’esterno, oltre che all’interno di dove si trovino. In conclusione, il male c’è, e l’uomo non ne è immune, ma dal male bisogna trarne il positivo, e quando la famiglia si organizza per curare il malato, esiste il bene, perché si migliora anche la condizione di vita del familiare. Oggi siamo una FAMIGLIA-NUCLEO, dove ognuno rappresenta un’isola fine a se stessa. Nella Spagna e negli USA la famiglia si cura direttamente del paziente. Questo in sostanza emerge dalla Conferenza in questione, cioè che siamo proprio tutti gli amici e i parenti le vere cure e farmaci per un malato anziano. E che questi può ancora dare tanto, perfino da malato.
Michela Gabrielli
23 novembre 2013