A Taiwan vince ancora la democrazia progressista
William Lai è il vincitore delle elezioni presidenziali di Taiwan, tenutesi sabato 13 gennaio. Non è la prima volta che il Partito Democratico e Progressista (Dpp) raggiunge la vetta, aspetto che ha amplificato le pressioni da Pechino. Oggi più che mai Taiwan si colloca al centro dei riflettori della geopolitica mondiale, specialmente se si tiene a mente il “precedente ucraino” e se si osserva la cosiddetta guerra hi-tech.
Taiwan alle urne
William Lai è un ex medico, ex indipendentista, accusato di essere un agitatore e piantagrane dalla Cina. Il tutto dovuto chiaramente alle sue posizioni anti-Pechino nell’ambito della questione taiwanese.
Le elezioni a Taiwan lo hanno visto scontrarsi contro i nazionalisti (e favoriti di Pechino) del Kuomintang e contro il Partito Popolare.
Nel mentre, Pechino si teneva occupata con l’ostruzionismo mediatico. Ma nonostante la censura dell’hashtag “elezioni di Taiwan” sul social Weibo (l’equivalente cinese di X), il tentativo è stato del tutto inutile.
Grazie ai giovani, che sono stati il principale target delle varie campagne elettorali, l’affluenza ha comunque raggiunto livelli record, toccando ben il 70%, portando Lai al 40,2% dei voti.
L’occhio di Pechino e altri
Dopo il voto, 8 jet e 6 navi militari cinesi hanno circondato l’isola. Lai è infatti visto come una grande minaccia, giacché il suo obiettivo è mantenere lo status quo: l’indipendenza de facto di Taiwan.
La Cina ha risposto subito accanita, ribadendo che la riunificazione sarà un processo inevitabile. Le parole dell’ambasciatore Xiao Qian sono state chiare: Taiwan è la Taiwan della Cina.
Se da un lato l’UE è apparsa soddisfatta del risultato elettorale (auspicando pace, stabilità e zero cambiamenti unilaterali), Joe Biden non sostiene l’indipendenza di Taiwan. Ma tale rifiuto è in realtà dovuto ad un’ambiguità strategica, anche perché tra l’isola e gli USA permangono alcuni rapporti economici, sebbene non ufficiali.
Perché parlare di Taiwan
Nonostante la vittoria, Lai non avrà la maggioranza al Yuan, ovvero il parlamento di Taiwan. Il nuovo presidente ha sottolineato infatti la necessità di collaborare e dialogare con l’opposizione, così da formare una coalizione.
Ciò non toglie rilievo alle elezioni tenutesi sull’isola. Taiwan è infatti un caso che è apparso fin da subito speculare a quello Ucraino-Russo, destando molta preoccupazione.
Le due realtà hanno un quadro geopolitico molto simile: il desiderio di riunificazione dello Stato più grande contro quello autonomistico dello Stato più piccolo.
Per di più un ruolo cruciale è ricoperto dal tema delle risorse: il grano a Kiev, i semiconduttori a Taipei.
Non solo, Taiwan produce anche metà del gas neon mondiale, essenziale per costruire microchip. Non è infatti la prima volta che si parla di chip war, perché un punto critico era stato raggiunto anche nel 2014. L’indipendenza del paese è quindi anche un’esigenza economica e tecnologica.
L’assimilazione di Taiwan da parte della Cina andrebbe, di conseguenza, ad ingrossare il Fiume Giallo, dando vita ad uno scenario che a molti non piacerebbe.