Intelligenza artificiale: le prime difficoltà

Il travolgente successo di ChatGPT – il tool per la riproduzione del linguaggio naturale messo a punto da OpenAI – ha riportato al centro del dibattito pubblico il tema dell’intelligenza artificiale, attirando le simpatie di molti, tra il più irriducibile tecnoentusiasmo ed una genuina curiosità generalizzata, ma riaccendendo anche ataviche, forse mai sopite paure.
Su Amazon compaiono i primi ebook realizzati (quasi) totalmente con il chatbot di OpenAI e programmi come Midjourney, mentre Microsoft e Google concorrono per il raggiungimento di un obiettivo specifico: l’integrazione dei sistemi di intelligenza artificiale generativa con i motori di ricerca. Recente è poi la notizia secondo cui anche Meta starebbe destinando le proprie risorse finanziarie alla creazione di un team dedicato ai servizi di IA.

Figure barbine e costi sproporzionati
Sebbene quella dell’intelligenza artificiale venga spesso venduta come una rivoluzione sul punto di esplodere, un tratto che a ben guardare contraddistingue l’approccio – accademico e giornalistico – avuto nei confronti di questa tecnologia sin dai suoi primordi nel 1956, per le Big Tech potrebbe esserci più d’uno scoglio all’orizzonte.
Durante la sua presentazione ufficiale, Bard – il bot ideato da Google per rispondere al sodalizio tra ChatGPT e Bing – si è fatto scappare un errore da 100 miliardi di dollari, riportando un’informazione inesatta quando gli è stato chiesto di spiegare quali fossero le scoperte fatte dal telescopio spaziale James Webb. È bastato che astronomi ed esperti del settore facessero notare l’incongruenza con dei commenti su Twitter per far precipitare di ben 7 punti percentuali le azioni della compagnia di Mountain View.
L’esempio è icastico, non solo per la sua ampia risonanza mediatica (e la conseguente perdita di credibilità per Google in questa “corsa all’IA”), ma soprattutto perché ha messo in luce uno dei più grandi limiti di queste formidabili tecniche di deep learning: la capacità di attingere da fonti attendibili. “Pescando” a piene mani dal mare magnum di Internet, i chatbot si imbattono inevitabilmente in un quantitativo esorbitante di informazioni, senza disporre tuttavia di un sistema di auto-verifica che gli consenta di selezionare con accuratezza i dati, motivo per cui è ancora – e più che mai – necessario l’intervento umano.
Per raggiungere un grado di precisione maggiore si potrebbero aumentare i parametri sulla base dei quali viene eseguito il training degli algoritmi (ChatGPT ne ha 175 miliardi), ma qui sopraggiunge un altro problema, quello del costo. Secondo un report di Reuters, utilizzare un’IA basata su modelli linguistici di notevoli dimensioni per fare una ricerca sul web comporterebbe un costo 10 volte superiore rispetto alle richieste tradizionali. E questo pur contando i ricavi di eventuali pubblicità mirate fornite dai chatbot.
A far lievitare i costi sono la quantità di microchip e di energia elettrica necessari per rispondere alle richieste degli utenti, e nonostante John Hennessy – presidente di Alphabet – lo abbia definito “un problema di un paio d’anni al massimo”, molti analisti sottolineano come si debba ancora trovare il modo di rendere profittevole l’estensione su larga scala di questa tecnologia.
La questione del copyright
Oltre ai modelli conversazionali, l’altro ambito in cui si assiste all’ascesa dell’intelligenza artificiale è quello della produzione di immagini, un impiego oggetto di controversie legate al diritto d’autore. Ci sono almeno due aspetti da considerare qui: da un lato l’utilizzo di immagini protette da copyright per l’addestramento dei programmi, e dell’altro la tutela delle “opere” generate proprio dall’IA.
Il primo è tutt’ora al centro di un feroce dibattito nel mondo artistico, il cui culmine è stato raggiunto con la protesta su ArtStation, la nota piattaforma per gli artisti digitali (ne avevamo parlato in un approfondimento videoludico dedicato all’IA). Sul secondo, invece, sembrano esserci degli sviluppi interessanti.
Recentemente, il Copyright Office americano ha fatto marcia indietro sulla registrazione del fumetto Zarya of the Dawn di Kristina Kashtanova, per il quale era stata approvata la protezione del diritto d’autore lo scorso autunno. Avendo scoperto solo in seguito che le illustrazioni in esso contenute erano state realizzate con Midjourney, l’ufficio ha scritto una lettera all’avvocato dell’autrice per rettificare – seppure parzialmente – il verdetto precedentemente emesso.
Nella lettera si legge che Kashtanova può essere considerata l’autrice delle parti testuali e della selezione delle immagini, ma il copyright non può essere apposto a quest’ultime poiché, non essendo “l’output specifico di Midjourney […] prevedibile dagli utenti”, il risultato non si confà ai principi del diritto d’autore. Insomma, quelle illustrazioni non sono un prodotto dell’ingegno e della creatività umana.
Naturalmente è ancora presto per sbilanciarsi, ma vista la difficoltà a trovare una forma di tutela per le immagini generate dai programmi di intelligenza artificiale, il tanto temuto (o desiderato) avvento di un’editoria caratterizzata da questo genere di prodotti sembra, al momento, un’eventualità meno probabile del previsto.