Benzina e diesel: dal 2035 solo auto elettriche, via libera definitivo dall’Ue

Dal 2035 non si potranno più immatricolare auto inquinanti, ovvero, tutti i veicoli con motore termico alimentato a benzina o a diesel. Dopo un primo accordo provvisorio, raggiunto con il Consiglio europeo a ottobre del 2022 (Dal 2035 stop Ue per diesel e benzina: pro e contro – 2duerighe), ora la direttiva Ue ha ricevuto il via libera definitivo dal Parlamento europeo. La norma in Assemblea plenaria è stata accolta con 340 voti favorevoli e 279 contrari oltre ai 21 astenuti, raccogliendo non poche critiche da parte di leader ed esponenti dei vari Stati membri. Al momento manca solo l’approvazione formale del Consiglio, dopo di che il regolamento sarà in vigore.
Obiettivo riduzione emissioni del 100%: cosa prevede la norma
Il provvedimento rientra nel pacchetto europeo “Fit for 55” il gruppo di riforme che avrebbero l’obiettivo di ridurre l’impatto ambientale e quindi le emissioni di Co2 nei maggiori settori economici strategici. Con questa norma si punta a ridurre del 100% le emissioni di questi veicoli entro il 2035, fissando un obiettivo intermedio per il 2030: ridurre del 55% le emissioni per le auto e del 50% per i furgoni. Inoltre, entro il 2025 la Commissione europea presenterà un metodo attraverso cui le istituzioni saranno in grado di calcolare e comunicare i dati sulle emissioni rilasciate durante il ciclo di vita di una vettura in vendita sul mercato. Entro il 2026 invece, sempre la Commissione dovrà monitorare il divario tra i limiti fissati dalla normativa e i valori reali sul consumo di carburante ed energia di ogni Stato membro, presentando anche una metodologia per i costruttori e disponendo le regole per l’adeguamento.
Numeri alla mano: la situazione in Italia
Nel nostro paese a gennaio sono state immatricolate il 26,7% di automobili mild hybrid, il 26,5% a benzina, il 19% con motore diesel, il 10% ibride, il 4,7% ibride plug-in e solo il 2,5% elettriche pure. Ma qual è la differenza tra i vari tipi di ibride? Mentre quella elettrica “pura” è alimentata da batterie ricaricabili che muovono il motore, la mild hybrid, usa un motore tradizionale supportato da uno piccolo elettrico. La plug-in hybrid consente di ricaricare il veicolo alle colonnine di ricarica, al contrario del full hybrid, dove invece l’accumulatore si ricarica in decelerazione e frenata. Le vendite di vetture hanno subito un lieve rialzo a gennaio: le immatricolazioni sono aumentate del 19% rispetto ad un anno prima, ma quelle delle auto elettriche nello specifico sono diminuite. Il nostro paese è ultimo in Europa per le immatricolazioni di auto elettriche (2,5%): in altri paesi come la Norvegia, al contrario, sono elettriche l’85% delle auto vendute, seguite dal 21% delle vendite in Austria, il 18% in Svizzera, il 13% in Germania, il 10% in Regno Unito e il 5,9% in Spagna. Una delle problematiche principali è anche quella della presenza di colonnine per la ricarica sul territorio nazionale: in Italia i punti di ricarica sono 36.772 distribuiti su 19.335 infrastrutture che si trovano in 15.048 location. Sulla rete autostradale Aspi, le stazioni di ricarica ad alta potenza sono 50. In questo contesto il governo ha stanziato incentivi per l’acquisto di auto non inquinanti: sono disponibili 630 milioni di euro di bonus totali suddivisi in 190 milioni per veicoli con emissioni nella fascia 0-20 grammi di anidride carbonica per chilometro (elettrici), 235 milioni per veicoli con emissioni nella fascia 21-60 grammi (ibridi plug-in), 150 milioni per veicoli con emissioni comprese nella fascia 61-135 grammi, 5 milioni per ciclomotori non elettrici, 35 milioni per quelli elettrici e 15 milioni per quelli commerciali elettrici. Inoltre, Stellantis intende costruire a Termoli una gigafactory da 40 gigawattora che sarà operativa dal 2026 mentre a Mirafiori realizzerà un centro per il riciclo di accumulatori.
L’eterna faida dei pro e contro
Secondo uno studio condotto da Clepa, da qui al 2040 ci saranno meno di 60mila posti di lavoro in Italia e meno 275mila in Europa per via della transizione all’elettrico. Ma c’è anche un’indagine che va in controtendenza, quella di Motus-E, associazione delle imprese dell’elettrico, condotta insieme con Cami, Centro di ricerca per l’innovazione nelle automotive, guidato dall’università Ca’ Foscari di Venezia: i posti di lavoro nel 2030 potrebbero aumentare del 6% ma a condizione di investire sulla transizione. Due poli opposti che sintetizzano i dibattiti createsi intorno alla questione dell’elettrico, da ottobre 2022 quando la norma era ancora provvisoria a dopo l’approvazione definitiva in Parlamento europeo.
La problematica legata all’industria mineraria
La conversione delle auto all’elettrico andrebbe in contrasto anche con la resistenza occidentale a scavare sottoterra per estrarre le materie prime necessarie ai veicoli elettrici: cobalto, rame e nickel. Materie che mettono al primo posto la Cina tra i maggiori produttori e in cima anche alla produzione di auto elettriche insieme alla Germania. Nel 2022 per la prima volta la produzione di vetture elettriche ha superato la soglia del 10% del totale globale: ne sono state vendute 7,8 milioni con un aumento del 68% in un solo anno. Solo sul mercato tedesco, l’anno scorso hanno raggiunto il 25% della produzione e su quello cinese quasi il 20% delle nuove immatricolazioni. Gli Stati uniti invece restano indietro: 6% di auto elettriche vendute nel 2022, nonostante sia la madre patria del colosso Tesla, tuttora il numero uno per le vendite di auto elettriche nel mercato globale. Ma l’Inflation Reduction Act (ovvero il Green Deal di Biden), contiene incentivi fiscali molto generosi per i veicoli elettrici, tanto da rendere più facile un probabile rialzo delle vendite nel mercato elettrico per i prossimi anni. Lo stesso Biden però, da un lato ha dato ordine al suo Dipartimento di Energia di finanziare per 700 milioni un progetto per il litio nel Nevada e per 300 milioni una fabbrica di grafite in Louisiana e dall’altro ha autorizzato il Ministero dell’Interno a bloccare una nuova miniera di rame, nickel e cobalto in Minnesota. Infatti, solo per la lavorazione e raffinazione di questi materiali, indispensabili per le batterie elettriche e che molto spesso avvengono in paesi emergenti e in Cina, il livello di inquinamento rimane alto. Quindi da un lato si punta all’estrazione nei propri territori per emanciparsi dalla Cina, dall’altro c’è la preoccupazione del fattore inquinante, che punta quindi alle esportazioni proprio da questi paesi. Tornando invece all’Europa, di recente la Svezia ha annunciato la scoperta di nuovi giacimenti di queste materie prime, un paese che già è il deposito più ricco di tutta l’Europa. La Luossavaara-Kiirunavaara Aktiebolag, la società svedese incaricata di sfruttare queste risorse, potrebbe effettuare la lavorazione e l’estrazione riducendo le emissioni carboniche: estrarre e manipolare in Svezia è sicuramente meno inquinante di farlo in Cina se si considerano i mezzi impiegati per il trasporto. Ma l’industria mineraria viene ostacolata lo stesso, è comunque considerata inquinante, se si comprende anche l’inquinamento acustico: tra contestazioni varie e consultazioni con la popolazione locale, le previsioni svedesi parlano di circa 15 anni per attingere a questo nuovo deposito. A nessuno insomma piace avere i giacimenti in casa propria, nonostante i prezzi delle produzioni potrebbero calare drasticamente, se si escludono quelli delle esportazioni delle materie prime. Ma anche il ruolo delle agevolazioni fiscali e l’aumento dei volumi prodotti nelle fabbriche potrebbero avvicinare i prezzi dell’elettrico a quelli di benzina e diesel.
In Italia: le contestazioni
Secondo la Federcarrozzieri, l’associazione che rappresenta le autocarrozzerie italiane, lo stop delle auto diesel e benzina per il 2035 porterà ad un aumento esponenziale dei costi di riparazione delle autovetture e maggiori esborsi sia in capo alle carrozzerie che per gli automobilisti. Per le auto elettriche il trend è positivo in tutta Europa tranne che in Italia e secondo l’associazione, il motivo sarebbe da legare proprio agli elevati costi di acquisto e gestione, con spese di riparazione più elevati (tra il +18% e il +30%) rispetto alle auto a benzina o diesel. Secondo il Presidente, Davide Galli: «le auto elettriche appena entrano in una carrozzeria devono essere messe in sicurezza e per fare questo occorre vi sia almeno un addetto abilitato con patentino Pes-Pav, procedura che comporta spese maggiori per gli operatori. Poi c’è l’elettronica che comporta spese maggiori e attività più lunghe per smontaggio, rimontaggio ecc.». Ma la colpa sarebbe dovuta soprattutto al ritardo del nostro Paese rispetto al resto d’Europa per quanto riguarda la transizione ecologica. A prendere la parola in merito, il Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso che ha spiegato come la strategia attuale sia quella di accelerare con gli investimenti e le tecnologie incrementando la filiera delle batterie e delle colonnine elettriche per i prossimi anni. Sarà pronta l’Italia per il 2035?