Dal 2035 stop Ue per diesel e benzina: pro e contro

Il Parlamento europeo si prefigge da anni vari obiettivi nel campo della sostenibilità. Ma il primo round di votazioni del pacchetto “FitFor55”, l’ambizioso piano d’azione contro il cambiamento climatico, ha creato non pochi problemi tra la maggioranza che sostiene la Presidente della Commissione europea, Ursula Von Der Leyen. Le tredici iniziative che puntano a ridurre le emissioni di CO2 dell’Ue del 55% hanno causato un duro scontro tra popolari e socialisti. Una lotta concentratasi sui due pilastri del Green Deal europeo: la riforma del sistema ETS, che regola lo scambio delle quote di emissioni di CO2 e la Carbon Tax. Senza un accordo, ora il testo dopo il voto congiunto tra i socialisti e due gruppi di destra, nel tentativo di essere salvato, tornerà in Commissione Ambiente. Tra le proposte approvate vi è invece quella riguardante il divieto di vendita di auto a diesel o benzina dal 2035. Con 339 favorevoli, 249 contrari e 24 astensioni, ora il progetto di legge dovrà essere dibattuto in Commissione e in Consiglio. Anche qui, i popolari hanno votato contro, presentando un emendamento, respinto dall’Aula, per consentire alle case automobilistiche di mantenere sul mercato una quota pari al 10% per i mezzi a combustione interna (benzina, diesel, gpl) anche dopo l’anno indicato. Passa invece un emendamento bipartisan che consentirebbe una deroga fino al 2036 per tutte quelle case automobilistiche che producono fino a 10mila mezzi l’anno. Una proposta appoggiata da molti europarlamentari italiani e che punterebbe a salvare i maggiori marchi della cosiddetta Motor Valley emiliana tra cui i più noti, Ferrari e Lamborghini.
Tredici anni dunque ci separano dalla scomparsa nel mercato automobilistico di una grossa fetta di auto ad oggi prodotte, lasciando il posto solo a macchine e furgoni ad emissioni zero. Una decisione che non lascia posto neanche ai motori ibridi.

2035: la fine del motore a combustione interna?
Innanzitutto bisogna ricordare che il voto del Parlamento Europeo è solo una direttiva. In seguito, spetterà agli stati membri deciderne l’effettiva applicazione. Per quanto riguarda la vendita delle auto a combustione interna, sarà vietata soltanto per le nuove mentre quelle prodotte e vendute in precedenza potranno continuare ad essere commercializzate. L’attuale sistema di vendite sarà dunque valido fino al 31 dicembre del 2034. Una scelta che per la Commissione copre un arco di tempo sufficiente a far abbassare i prezzi delle auto elettriche, rispetto ai costi attuali.
Ma lo stop sancito dall’Ue è stato considerato da buona parte dell’opinione pubblica come “troppo affrettato e rischioso” per due motivi ben precisi: la riduzione delle emissioni di CO2 sarebbe “trascurabile” mentre il divieto di vendita impatterebbe soprattutto sui posti di lavoro e sull’intero sistema economico che, per quanto riguarda il Made in Italy, è rappresentato da buona parte del settore automobilistico. Tra le alternative indicate ci sarebbe quella di puntare sulla propulsione ibrida che, comunque, consentirebbe di ridurre i consumi e le emissioni a costi più o meno sostenibili. Il problema principale delle auto elettriche è che non sono alla portata di tutti, soprattutto a chi percorre molti chilometri al giorno per raggiungere il posto di lavoro o per altre esigenze, mentre si stanno rivelando la soluzione più ottimale per i brevi tragitti, soprattutto nelle città.

Nonostante ciò, bisogna ricordare che l’Unione Europa è il terzo produttore mondiale di CO2 e il settore automobilistico e quello dei trasporti rappresentano circa il 20,4% delle emissioni di CO2 dell’Ue. Ma il divieto consentirebbe la vendita solo di motori al 100% elettrici o a idrogeno, escludendo dunque anche le ibride plug-in che consentono di viaggiare in modalità elettrica per la stragrande maggioranza dei percorsi e che hanno emissioni prossime allo zero.
Numeri alla mano
Secondo l’Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica (Anfia) la filiera italiana conta 2.200 imprese e 160 mila addetti e la percentuale dei fornitori del comparto dedicato a benzina e diesel è del 72,8% e 77,9%. E nonostante l’attuale carenza di microchip le case automobilistiche già si stanno muovendo per una produzione al 100% incentrata sul motore elettrico. Per alcune la data prevista è il 2027. Ma il problema è anche di tipo infrastrutturale: le colonnine per la ricarica elettrica sono circa 27mila in tutta Italia. Ne servirebbero circa 110 mila oltre alla necessità di stabilire una norma per i parcheggi riservati all’elettrico.
Un’altra problematica è quella dei costi: un’auto elettrica in Italia costa in media il 20-30% in più rispetto alle altre. Un prezzo che oscillerebbe tra i 30mila e i 37mila euro. Ecco perché molte famiglie si rivolgono al mercato dell’usato (circa 3 milioni di vetture vendute nel 2021), alle auto a benzina o alla trasformazione della propria auto in gpl. Per l’opinione pubblica che non sostiene la scelta della Commissione Europea, il divieto di vendita aumenterebbe dunque le diseguaglianze, oltre a impattare sul mercato del lavoro. Qualora fossero inseriti degli incentivi o dei bonus, forse queste diseguaglianze potrebbero essere attenuate. Ma la situazione in cui ci troviamo attualmente, dove il conflitto in Ucraina ha portato alla crisi delle materie prime tra cui i carburanti, ci porta inevitabilmente a ripensare l’intero sistema: ora si guarda ad altri mercati, in testa quello delle batterie elettriche e delle materie prime come il litio, attualmente dominati da paesi come la Cina.
È un mondo nuovo diviso in due: da una parte ci sono già gli allarmi ad un’imminente crisi del comparto delle auto e dall’altra c’è chi crede in una svolta green, ma con i dovuti investimenti pubblici e gli ecobonus. Divisioni anche nel governo Draghi: dal Ministro allo sviluppo economico Giorgetti, preoccupato per la forte dipendenza dalla Cina, al Ministro dei trasporti Giovannini che crede che lo stop per il 2035 sia una data ragionevole fino al Ministro alla transizione ecologica Cingolani che avverte: “se nel 2033 ci accorgiamo che è impossibile bisognerà ripensarci”.
La spaccatura Ursula
Sta di fatto che il pacchetto “FitFor55” stava rischiando di saltare completamente. Quella che si è verificata la scorsa settimana è una spaccatura tra la maggioranza in Parlamento Europeo che ha visto anche alcuni esponenti del Partito Democratico e degli S&D votare no, preoccupati per il costo della svolta Green. Un duro colpo non solo per il fronte ambientalista ma per tutti i componenti del gruppo che appoggia Von Der Leyen che pur essendo dei popolari, aveva accolto il Green Deal come provvedimento guida per l’ultimo periodo del mandato. Un tutti contro tutti che ha visto ventuno membri del Pse votare in dissenso e la destra attaccare la sinistra di non voler proteggere i lavoratori e il Made in Italy del settore automobilistico.
L’Unione Europea sta affrontando un periodo di incertezze dovute ad una serie di eventi che si sono susseguiti negli ultimi anni: il Covid e la guerra in Ucraina in testa. Oggi, la maggioranza “Ursula” vacilla e il cammino della Commissione Ue sarà sempre più tortuoso.
