Le alternative al gas russo: l’Italia guarda all’Africa

Una nuova mappa di interventi quella progettata dal governo Draghi: l’obiettivo è far diventare il paese indipendente dal gas russo che ad oggi copre ancora buona parte delle forniture. Ci si chiede come sia possibile sostituire quel 38% di gas naturale consumato sul territorio italiano, circa 29 miliardi di metri cubi su un totale di 76 miliardi consumati nel 2021, il più in fretta possibile.
L’opzione più ovvia è quella di aumentare i metri cubi di gas importato da altri paesi, sia tramite i gasdotti che con l’uso dei rigassificatori. Di questi ultimi, si punta al potenziamento dei due presenti a Rovigo e Livorno e alla costruzione di altri due siti a Porto Empedocle e Gioia Tauro. Tra i paesi a cui punta maggiormente l’Italia per le importazioni, oltre al secondo fornitore, l’Algeria, vi sono anche altri paesi africani tra cui Angola, Congo e Mozambico.
I gasdotti dall’Africa
Attualmente, in Italia si consuma il 27,8% di gas algerino seguito dal 9,4% del Qatar e il 9,4% dell’Azerbaigian insieme al 2,8% dalla Norvegia. Il gas esportato da altri paesi copre lo 0,73% mentre quello dei rigassificatori raggiunge la quota del 3,27%. In totale si parla del 95,7% di fonti energetiche importate mentre la produzione nazionale si ferma al 4,3% (fonte:MTE).
Con il gasdotto Transmed, l’Algeria si colloca al secondo posto tra i maggiori importatori di gas per l’Italia e con il nuovo accordo firmato ad Algeri, si arriverà a raggiungere i 9 miliardi di metri cubi all’anno entro il 2024 (Il mercato del gas: dal paradosso Russo al patto con l’Algeria – 2duerighe).
Inoltre sono previsti investimenti anche in Azerbaigian, mentre dalla Libia il GreenStream che arriva a Gela ha una capacità complessiva di 11,5 miliardi di metri cubi.
Si è tornato a parlare anche del gasdotto Trans-Sahariano denominato Nigal, proprio perché partirebbe dalla Nigeria per arrivare in Algeria. Un progetto nato negli anni 80 ma concretizzatosi sotto forma di accordo intergovernativo tra Algeria, Nigeria e Niger solo nel 2009, trovando difficoltà nella realizzazione a causa della forte presenza dei gruppi terroristici del Sabel. Il condotto dovrebbe connettersi agli altri che raggiungono il Mediterraneo e favorirà inevitabilmente gli scambi energetici tra i due continenti. Un’opera che avrebbe un costo di 13 miliardi e che se verrà effettivamente realizzata, potrebbe trasportare circa 30 miliardi di metri cubi l’anno.

L’area Sub-Sahariana sembra essere dunque quella più fruttuosa: i principali hub dell’Eni si trovano infatti in Congo, Angola, Nigeria e Mozambico. Zone in cui le attività estrattive sono aumentate considerevolmente nell’ultimo periodo: solo nel 2020, la produzione annuale di gas ammontava a circa 1,4 miliardi di metri cubi.
Gli accordi
La ricerca di nuovi accordi dunque non si è fermata in Algeria (con l’accordo da 9 miliardi di metri cubi) né in Egitto con quello da 3 miliardi: il 21 aprile in Congo, l’ad dell’Eni, Claudio Descalzi, ha firmato una lettera d’intenti con il ministro degli idrocarburi congolese Bruno Jean Richard Itoua per l’aumento delle importazioni di gas: circa 5 miliardi in più all’anno. Il giorno prima in Angola, c’era stata la sigla dell’accordo per la joint-venture nel settore energetico per la produzione di materie prime e la spinta ad investimenti anche per le rinnovabili. Collaborazioni queste frutto delle ottime relazioni che il gruppo energetico italiano ha costruito in circa 70 anni di presenza in Africa, dove è leader sia per la produzione che per quanto riguarda le riserve di fonti energetiche.

Ma il gas dal Congo e dall’Angola arriverà sotto forma di Gnl (Gas naturale liquefatto). I terminali di gassificazione sono dunque cruciali per diminuire le dipendenze da Gazprom. Con l’accordo inoltre si profila uno sviluppo nella produzione di gas naturale da avviarsi per il 2023. La Repubblica del Congo ed Eni hanno anche concordato la definizione di iniziative di decarbonizzazione per la promozione della transizione energetica sostenibile nel paese. Un progetto che, a detta di Descalzi, trasformerà il Congo in un “laboratorio di energie future con tecnologia italiana”. In totale la missione del Ministro degli Esteri Di Maio, del Ministro della Transizione Ecologica Cingolani e dell’Amministratore delegato di Eni, potrebbe portare fino a sette miliardi di metri cubi di gas sul territorio italiano. L’ultima tappa prevista è quella in Mozambico, dove la diplomazia italiana è attesa per maggio. L’obiettivo sarebbe quello di riempire gli stoccaggi con 12 miliardi di metri cubi prima del prossimo inverno mentre entro il 2023 si punta a rimpiazzare almeno la metà del gas naturale russo. Ma bisogna ricordare anche gli assenti: tra questi la Libia che sebbene abbia un rapporto privilegiato con l’Italia, al momento non sarebbe in grado di aumentare le forniture dopo una lunga stagione di disordini e guerra civile.

La road map del Copasir
Incentivi per una nuova politica energetica arrivano anche dal Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir). Con riferimento al gas quale “energia ponte nel processo di transizione ecologica” per il presidente del Copasir, il senatore Adolfo Urso, l’Italia può avere un ruolo da protagonista di hub mediterraneo e dunque europeo, con l’obiettivo di raggiungere l’autonomia energetica.

Una visione che però presuppone una differente politica estera che vada ad inserirsi nell’attuale contesto geopolitico, soprattutto alla luce del recente conflitto in Ucraina. A detta del presidente del Comitato, la relazione approvata e con relatori i deputati Paolo Arrigoni (Lega) e Federica Dieni (M5s), si presenta come il frutto di una profonda riflessione che valuta gli impatti derivanti dal conflitto “sia sul fronte geopolitico che su quello degli approvvigionamenti”. Nei vari scenari futuri analizzati il Copasir ha evidenziato le strategie di diversificazione delle forniture di gas naturale necessarie per la rinuncia a quello russo. Sempre secondo la relazione del Comitato un intervento statale risulta essere necessario e fondamentale per attenuare l’impatto sia sul fronte produttivo ed economico che su quello sociale, in particolar modo per ciò che riguarda l’aumento dei prezzi dell’energia.
Dunque le mosse del governo dei prossimi mesi saranno decisive per capire se l’Italia potrà diventare effettivamente “hub mediterraneo” ma tutto dipenderà dai rapporti con la vera protagonista, l’Africa.
