L’economia in guerra: cosa succede in Russia

Al momento sembrano essere sette le banche russe escluse dal sistema SWIFT, ovvero il sistema di messaggistica per le transazioni finanziarie nel mondo. Stiamo parlando della Vtb Bank, della Bank Rossiya, la Bank Otkritie, la Novikombank, la Promsvyazbank, la Sovcombank e la Veb.rf. Una decisione già anticipata la scorsa settimana ( Guerra in Ucraina: il prezzo delle materie prime – 2duerighe ) dai membri dell’Unione Europea con altri paesi quali Regno Unito e Stati Uniti.

Il sistema SWIFT e le banche russe
Nei prossimi giorni, potrebbero essere escluse dallo SWIFT anche altre banche. Nella lista mancano infatti la prima banca russa Sberbank e la terza, Gazprombank, la banca tramite cui passano i pagamenti per le forniture di gas. La sua esclusione quindi, eviterebbe almeno al momento la chiusura dei condotti per il gas liquido anche se, bisogna ricordare il recente fallimento della società Nord Stream 2, ovvero il gasdotto bloccato dalla Germania e di proprietà della stessa Gazprom.

Bloccati anche gli asset esteri della Banca Centrale Russa. Una situazione che ha fatto crollare il valore del rublo ai minimi storici: si parla del -30% rispetto all’euro. Se prima 1 euro valeva circa a 90 rubli ora si è passati a circa 120. Una situazione drammatica per l’economia russa, come si è potuto vedere anche dalla chiusura della Borsa di Mosca per tre giorni consecutivi. Tra le motivazioni vi è ovviamente l’esclusione dal sistema per le transazioni finanziare internazionali. Ma cos’è nello specifico lo SWIFT e come funziona?
La Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication (SWIFT) è un sistema che consente alle banche transazioni finanziarie nei vari paesi, in modo rapido e sicuro. Si parlerebbe di grandi cifre, fino a miliardi di dollari.
Ogni paese è identificato con dei codici, legati ad una banca in cui è registrato il conto. Quando la transazione avviene, si ricorre allo specifico codice per una procedura sicura. La sede è in Belgio ed è strutturata come una cooperativa di istituzioni finanziarie di tutto il mondo. Dalla sua fondazione negli anni 70, collega circa 11mila banche e società di oltre 200 paesi. Nel sistema vi sono circa 300 società finanziarie russe che rappresentano più della metà di quelle presenti sul territorio nazionale.

Data la situazione, le banche russe si stanno indirizzando verso il sistema di pagamento sviluppato in Cina nel 2015: il Cross-Border Interbank Payment System (CIPS). Un paese che però stenta a schierarsi totalmente dalla parte di Putin: all’ Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 2 marzo, si è astenuta dal condannare l’invasione Russa in Ucraina.
La Cina: dall’accordo per il gas ai timori della guerra
Il sistema cinese CIPS è utilizzato principalmente per la transazione di crediti in yuan verso altri paesi e per i vari commerci legati all’economia della nazione. Ma rispetto allo SWIFT copre un raggio d’azione più ridotto. Nonostante ciò potrebbe essere un sistema favorevole per le banche russe che al momento si trovano isolate. Ma la Cina sta procedendo con molta prudenza verso quello che prima del conflitto, era un socio in affari nel commercio di materie prime come il gas. (Caro bollette e benzina: il punto della situazione – 2duerighe ). È del 5 marzo la notizia di un incontro tra il ministro degli esteri cinese Wang Yi e quello americano Antony Blinken. Il ministro si è espresso contrario alla guerra e a detta di molti esperti e come riportato dal Corriere, il governo cinese si sentirebbe “tradito” da Putin.

Nel patto firmato il 4 febbraio, anti Usa e anti NATO e che a Pechino serviva per le sue rivendicazioni su territori come quello di Taiwan, il presidente russo non avrebbe fatto riferimento all’invasione dell’Ucraina. Questo spiegherebbe la mancata evacuazione degli studenti cinesi da Kiev.
Oggi, invece, il governo cinese ha descritto il legame con la Russia “solido” dicendosi pronto a mediare nel conflitto in corso. Pechino dunque non considera le operazioni militari russe un’invasione pur deplorando lo scoppio del conflitto. Di conseguenza il rapporto con gli USA, dall’ultimo incontro di sabato, sembra essersi freddato. A detta del ministro degli esteri cinese Wang “le assicurazioni degli Stati Uniti di non sostenere Taiwan e di non voler cambiare il sistema cinese sono solo dichiarazioni verbali mai messe in pratica”. Il ministro degli esteri dell’ isola, Joseph Wu invece ha elogiato l’Ucraina affermando che Taiwan si sente incoraggiata dall’esempio della resistenza a Kiev. Per quanto riguarda l’Ue, Pechino chiede di non dar vita ad una “seconda guerra fredda”.
Sulla crisi in Ucraina: il ministro degli Esteri Wang Yi, ha aggiunto che Pechino è pronta a continuare a svolgere “un ruolo costruttivo per facilitare il dialogo e per la pace, lavorando a fianco della comunità internazionale per svolgere la necessaria mediazione”. La Cina “è disposta a continuare a svolgere un ruolo costruttivo nella promozione dei colloqui tra Russia e Ucraina, ha assicurato Wang, secondo cui “bisogna prevenire una crisi umanitarie su larga scala”.
I dissensi invece, continuano a farsi sentire all’interno della Russia, ai piani più alti dell’economia: tra gli oligarchi.
Gli oligarchi russi: tra chi si ribella e chi subisce
I cosiddetti oligarchi russi, ovvero quel gruppo di potenti vicini al presidente e arricchitisi dopo la caduta dell’URSS, stanno perdendo ingenti somme di beni e denaro. Ma tra di loro c’è anche chi si schiera apertamente contro la guerra. Il proprietario del Chelsea, Roman Abramovich, ha deciso di vendere il club di Premier League donando i proventi alle vittime della guerra in Ucraina.

L’oligarca russo, tra i più noti nel panorama europeo, ancora non è stato colpito dalle sanzioni e in seguito all’annuncio si è anche impegnato a creare una fondazione di beneficienza per le vittime della guerra. Tra i sanzionati invece c’è anche chi si è visto sequestrare ville e yacht molti dei quali situati in paesi come Italia e Francia. In Costa Azzurra, Igor Sechin a capo di Rosneft (compagnia petrolifera) e tra i più solidali con Putin, si è visto sequestrare lo yacht dal nome italiano “Amore vero”.

Nel nostro paese alcuni di loro hanno ricevuto anche la cittadinanza onoraria mentre altri sono stati tra i finanziatori di musei e opere. Tra questi Alisher Usmanov, proprietario tra l’altro di un immobile da 17 milioni di euro in provincia di Sassari e che secondo La Repubblica, nel 2015 donò 2 milioni per il restauro di molti beni artistici della Capitale. Ma c’è anche chi ha messo una taglia da un milione di dollari su Putin. Un annuncio che sembrerebbe essere comparso il 3 marzo, a nome dell’uomo d’affari Alexander Konanykhin e in seguito eliminato.

Dunque, cominciano ad essere visibili i primi oppositori anche tra le cerchie più strette di Putin: è recente la notizia che riguarda la senatrice Lyudmila Narusova. La vedova del mentore del presidente, l’ex sindaco di San Pietroburgo, si è espressa contro l’invasione criticando anche la propaganda e la conseguente censura, della televisione di stato russa che secondo l’Huffington Post sarebbe stata descritta da lei stessa come “fonte di bugie spudorate” mentre “i soldati russi seguono gli ordini senza pensare per poi giacere sul suolo ucraino senza essere identificati”.

La censura dei media e la fine delle produzione estera
È evidente che l’esclusione o meno di altre banche e l’aumento delle sanzioni dipendono dal comportamento del governo russo che al momento sembra non voler frenare l’ondata di conflitto scaturito in Ucraina ma anzi, ha intensificato la propria egemonia sui social media e le tv nazionali. Ad essere chiusi, programmi scomodi come la radio indipendente “Eco di Mosca” mentre i servizi dei tg nazionali sono incentrati unicamente su un messaggio: “i soldati russi non stanno bombardando le città ucraine né uccidendo i civili”. Propaganda che si estende anche ai bambini: ogni giorno viene mandato in onda un cartone animato con l’intento di “educare” i più piccoli alla propria “versione della storia”.

Inoltre, gli inviati esteri dei vari paesi sono stati costretti a ritirarsi e al momento tutto quello che accade sul territorio russo passa unicamente per i media in mano al presidente. Ma anche i marchi più importanti stanno ritirando le proprie produzioni. Tra questi il noto marchio di mobili svedesi, Ikea, mentre i gruppi Volkswagen, Lamborghini, Porsche e Volvo insieme a molti altri marchi automobilisti, hanno deciso di bloccare l’esportazione di veicoli in Russia. La società di Mercedes-Benz ha anche interrotto la produzione locale. Chiusi anche numerosi store di brand noti a livello internazionale come Hem, Nike, Asos e Apple. Sospese anche le operazioni e servizi a nome di Adobe, Paypal, Payoneer, Visa e MasterCard.
Nel frattempo Facebook è stato oscurato dal territorio russo e chi si esprime contro Putin o il conflitto, rischia fino a quindici anni di carcere dopo l’introduzione della Legge marziale.
