La cultura del sempre connesso, il lavoro tra smart working e bisogno di disconnessione
Quella sul “diritto alla disconnessione” è una discussione che recentemente è tornata a imporsi agli occhi dell’opinione pubblica e delle istituzioni, figlia delle problematiche scaturite dalla costante evoluzione tecnologica.
Da ultimo la Pandemia ha, se possibile, accelerato l’utilizzo degli strumenti virtuali e dell’annesso “sapere informatico”, rendendo necessaria, obbligatoria, quella che solo pochi mesi fa era un’esigenza di aggiornamento avvertita, forse erroneamente, come meno pressante.
La società odierna, i decisori pubblici rincorrono di fatto una materia in continua evoluzione. In questo mordi e fuggi vertiginoso, sono di casa le zone franche, sotto-regolamentate, che sfuggono ai tentativi (blandi finora) di inquadramento giuridico.
Una di queste “zone di frontiera” prodotte dalla rincorsa al digitale è la deriva del lavoro da remoto, che colpisce sempre più lavoratori, non protetti da norme puntuali in merito.
La centralità dello smart working e le sue criticità
La digitalizzazione dei processi lavorativi ha rivoluzionato alcuni paradigmi associati alla definizione stessa del lavoro. L’economia secolare, caratterizzata dalla centralità del settore terziario, provoca una domanda sempre maggiore di figure professionali in grado di dialogare efficacemente con il mondo della tecnologia, tramite il suo linguaggio e l’utilizzo degli strumenti e delle relative piattaforme.
Va da sé che molto del lavoro in capo ad una persona può essere svolto efficacemente grazie al solo utilizzo di un computer o genericamente tramite dispositivi digitali. Inoltre, sempre più aziende incentivano il ricorso al lavoro da remoto per abbattere costi variabili come l’affitto, l’energia elettrica, il riscaldamento, etc.
Se prima della pandemia il ricorso allo smart working era un generico indirizzo intrapreso da alcuni, con il covid è diventato un cambiamento obbligato e necessario. Non regolare quello che per molti è diventato il principale modo di lavorare, rischia di creare, ha già creato in realtà, iniquità e abusi nei confronti dei singoli.
Alcune tra le principali problematiche dello smart working denunciate dai lavoratori riguardano le interruzioni al tempo di riposo, l’estensione delle ore lavorative, l’accumulo di straordinari non pagati, per non parlare del complicato tema della continua reperibilità, fonte di disequilibrio tra vita privata e professionale.
L’approccio istituzionale, poca attenzione e tanto da fare
In Italia non esiste una regolamentazione puntuale dello smart working. Secondo la legge 81-2017, il contratto di lavoro deve contenere delle misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche. I tempi di disconnessione vengono decisi in sede contrattuale tra dipendente e datore di lavoro.
Di fatto, la regolamentazione è demandata alle singole aziende, sbilanciando così il rapporto tra dipendenti e datori di lavoro in favore dei secondi. Inoltre, questa legge riguarda solo le persone inquadrate contrattualmente come lavoratori agili; sono così scoperti gli altri, la platea di regolari e in generale tutti quei tipi diversi di contratto che non prevedono nessuna regolamentazione sul tema.
E’ evidente allora la necessità di un’ampia sistemazione giuridica, che tocchi la maggior parte dei contratti di lavoro. Oggi tanti lavoratori in smart working sono senza tutele.
Ad ampio raggio poi, un’eventuale attenzione a queste istanze, potrebbe forse di rimbalzo permetterci di tornare a parlare delle stigmate italiane relazionate al lavoro; gli irregolari, il sommerso, la disoccupazione giovanile, i sindacati intenti solo alla perpetrazione di sé stessi, l’abissale differenza tra Nord e Sud del Paese…
La proposta del Parlamento Europeo
Recentemente il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione che esorta la Commissione Ue nel proporre una legge che permetta ai lavoratori di disconnettersi al di fuori dell’orario lavorativo senza conseguenze. L’obiettivo è stabilire degli standard di base su cui regolare il complesso delle attività “a distanza”.
La strada è ancora lunga, il testo che formulerà la Commissione dovrà poi passare al vaglio degli altri poteri legislativi europei. La vera sfida sarà poi capire come ogni singolo Stato membro recepirà all’interno del proprio ordinamento quanto deciso a Bruxelles.
Ad ogni modo, tra i tre organi Ue di primo piano, Commissione, Parlamento e Consiglio, Il Parlamento si dimostra come frequentemente accade quello più attento alle questioni della persona, disposto a tendere l’orecchio a issues sociali e di welfare, forse anche perché, tra tutti, è il meno influenzato dai gruppi di interesse economico, che negli anni hanno direzionato non poche delle politiche pubbliche europee.
Aspettando l’opera del legislatore, tanto italiano quanto europeo, ci sono possibilità concrete di agevolare chi lavora da remoto? Forse si, ecco un esempio. Alcune aziende tedesche hanno introdotto una modalità di consegna automatica delle e-mail, che partono così solo in determinate fasce orarie.
Risultato? Non è possibile mandare o ricevere e-mail in orari notturni o comunque extra-lavorativi. Sembra poco, ma una misura così semplice è di aiuto sotto tanti aspetti, si pensi solo alla riduzione di stress per il lavoratore altrimenti sotto il giogo costante del regime del “sempre connesso”.
Senza una disciplina che regoli le casistiche e i modi, si può solo scommettere sulla lungimiranza di un datore di lavoro, o su fantomatiche dirigenze che abbiano a cuore la salute dei lavoratori.