Aborto farmacologico in Umbria

La decisione della giunta Tesei in merito all’aborto in Umbria, per il quale i giorni di ricovero previsti per effettuare il procedimento farmacologico sono passati da uno a tre, ha fatto molto discutere, diventando a tutti gli effetti un caso nazionale e sostituendo l’attenzione pubblica dal Coronavirus.
Cosa cambia con la nuova delibera
Con la nuova delibera della giunta Tesei in Umbria ora è obbligatorio il ricovero di tre giorni per tutte quelle che donne che vorranno sottoporsi all’aborto farmacologico. Fino a prima, infatti, poteva essere effettuato in day hospital oppure a domicilio, svolgendo il tutto in un solo giorno, com’era stato reso possibile dalla precedente amministrazione di centrosinistra, grazie all’assunzione della pillola Ru486 e rimanendo poi sotto stretta osservazione medica, anche a casa propria.

Il confronto con l’Europa sull’aborto farmacologico
In realtà, quella presa dalla giunta Tesei, è una decisione che va decisamene in controtendenza con i dati europei. Nel resto del continente, infatti, quello farmacologico è il procedimento scelto maggiormente per le interruzioni volontarie di gravidanza: 97% in Finlandia, 93% in Svezia, 75% in Svizzera, inoltre c’è anche da considerare come in alcuni paesi tali farmaci possano essere addirittura somministrati dai medici di famiglia come in Francia, oppure dalle ostetriche dopo un’accurata formazione, come in Svezia. Nel nostro Paese, invece, l’approccio farmacologico viene scelto solamente nel 17,8% dei casi.
La decisione presa dalla giunta leghista in Umbria, in realtà, non va solo contro la maggioranza europea, ma anche contro quelle che sono le richieste avanzate dalla Società italiana di ginecologia ed ostetricia che proprio a causa del Coronavirus aveva espressamente suggerito di favorire la via farmacologica proprio per non riempire ulteriormente gli ospedali, già messi sotto pressione a causa della pandemia. Inoltre, già da prima del problema Covid-19, l’Oms aveva suggerito di non richiedere l’ospedalizzazione per l’IVG farmacologica.
A mancare sono anche i dati necessari che potrebbero far pensare ad un’applicazione sensata di questa delibera e ad affermarlo è la stessa Tesei, che in un’intervista rilasciata a Radio Capital ammette l’assenza di numeri evidenti relativi a problematiche emerse dal trattamento farmacologico, giustificandosi semplicemente con l’adempimento alle linee guida presenti nella legge nazionale, la quale comunque consente anche alle regioni di avere autonomia in materia e gestire tale questione proprio nel modo migliore in base alle proprie necessità.
Perché le donne devono rinunciare ad un loro diritto?
Il diritto all’aborto, com’era concesso fino a pochi giorni fa, nel pieno rispetto comunque della legge 194, consentiva dunque alle donne che volevano interrompere la propria gravidanza di farlo in poche ore, in totale sicurezza ed ovviamente senza ledere la propria privacy. I casi più “delicati” sono ovviamente quelli di tutte quelle donne che non hanno la possibilità di affrontare un tale argomento con totale trasparenza nei confronti, ad esempio, dei propri cari. Ciò consentiva loro di svolgere l’IVG in una modalità che garantiva ulteriormente il proprio anonimato e soprattutto garantiva loro la piena libertà, dunque, di agire secondo le proprie esigenze.

Prendiamo ad esempio in considerazione tutte quelle ragazze che vivono in una famiglia in cui tale tematica non può essere affrontata secondo la loro volontà, oppure tutte quelle donne il cui partner non consentirebbe tale pratica, specialmente con un ricovero di tre giorni, oppure ancora quelle che avrebbero difficoltà relative al proprio lavoro. Da questo momento in poi, tutti questi casi oltre a quelli che non abbiamo citato, dovranno rinunciare ad una libertà fondamentale che fino a poco fa, come sarebbe normale in un paese “avanzato”, era regolarmente garantita.
In questo senso la presidentessa Tesei ha affermato che ha agito per tutelare la salute della donna, obbligandola ad un ricovero di tre giorni. Anche in questo caso a venir meno sono le motivazioni alla base di tali dichiarazioni. Innanzitutto perché, come già sottolineato, non ci sono i numeri che possano far parlare di un problema sanitario relativo al trattamento farmacologico. Inoltre emerge anche la concezione delle donne come esseri umani non in grado di sapersi tutelare autonomamente, peraltro seguendo una pratica garantita e svolta dalle strutture sanitarie nazionali.
Le motivazioni che mancano
Da quanto emerso dalle parole della stessa Tesei, che ha lei stessa affermato che non ci sono effettivamente i numeri per poter parlare di rischi per la salute delle donne, parrebbero mancare proprio le motivazioni necessarie a comprendere un tale cambiamento, per colpa del quale le donne sono le prime a rimetterci e non ad essere tutelate.
Per comprendere in maniera più approfondita tale discorso, in realtà, si dovrebbe guardare un po’ a fondo in quella che è la casa politica della giunta umbra, ovvero la Lega, e soprattutto ad uno dei suoi esponenti più “caratteristici”, Simone Pillon.
Il commissario della Lega in Umbria e senatore leghista residente a Perugia, è particolarmente noto per la sua vicinanza alle associazioni vicine al movimento del Family Day, chiaramente di stampo anti-abortista. Pillon è da sempre a favore dell’abolizione della legge 194 e, addirittura, nell’agosto del 2018 aveva persino dichiarato di voler perseguire il modello “aborti zero” come in Argentina, probabilmente dimenticandosi del fatto che nel paese sudamericano l’80% degli aborti avvengono in maniera clandestina, a causa dei quali poi moltissime ragazze perdono la vita.
La lobby antiabortista dietro alla scelta della giunta Tesei
La totale assenza di dati scientifici che potrebbero concretamente far pensare alla volontà di tutelare realmente la salute della donna, com’è stato goffamente affermato anche dalla Tesei stessa, ci fa comprendere come dietro questa scelta a dominare siano, in realtà, motivazioni di stampo politico, la cui matrice ideologica va ricercata negli ambienti ultracattolici e di destra legati al mondo dei movimenti antiabortisti e pro-life.
Non ci stupisce, infatti, che proprio la Tesei nell’ottobre 2019 abbia firmato il “Manifesto Valoriale” redatto da Family Day e dall’Associazione Famiglie Numerose nell’evento “L’Umbria mette al centro la famiglia”, che si è tenuto proprio in quei giorni a Perugia. Nel manifesto, non a caso, si legge come gli obiettivi proclamati, tra gli altri, siano proprio quelli di combattere le iniziative pro-aborto e di sostenere le campagne per la fertilità.
Non si tratta comunque del primo caso. Lo stesso Pillon aveva già esultato in passato per altre questioni simili, come ad esempio quando a Verona la giunta comunale il 4 ottobre 2018 aveva approvato una mozione il cui scopo era quello di finanziare associazioni di stampo cattolico il cui obiettivo è proprio quello di sostenere iniziative contro l’aborto.
Tutti questi elementi ci fanno comprendere come i gruppi e le associazioni pro-life, o presunte tali, di stampo cattolico, abbiano dei forti legami con i partiti di destra, soprattutto negli ambienti vicini alla Lega e che proprio figure come quella del senatore Pillon siano pedine fondamentali in questo processo per poter unire i soggetti.
Non ci sarebbe nulla di male, se le loro idee non andassero a ledere la libertà e le conquiste delle donne, così come quelle di ogni altro cittadino.
Gli ultimi aggiornamenti
Dopo lo scatenarsi delle polemiche, il Ministro della Salute Roberto Speranza, aveva richiesto un parere ulteriore al Consiglio Superiore di Sanità in merito alla delibera della giunta umbra, al fine di comprendere se la salute della donna possa essere tutelata con il day hospital, o se invece sia obbligatorio il ricovero di tre giorni.
Nelle ultime ore, inoltre, dopo le polemiche provenienti dagli ambienti politici e non, e soprattutto dopo le varie prese di posizione, la stessa Tesei si è detta pronta a rimodulare la delibera, seguendo ovviamente le considerazioni che saranno espresse dal Css.