Se scoppiasse una guerra di troll e fake news?

Era il 1989 il crollo del muro di Berlino sanciva emblematicamente la fine della Guerra Fredda. Da li in poi il mondo sarebbe stato diverso. Celebrando la fine della minaccia sovietica come successo del capitalismo alcuni, disperandosi per il dilagante consumismo altri, il mondo intraprendeva una nuova via, in cui l’Occidente, però, non viaggiava più alle stesse velocità dei decenni precedenti, la neonata Russia prendeva una considerevole rincorsa, mentre l’Asia era ormai pronta per competere. Nel corso del cammino sono capitati numerosi eventi che hanno stravolto il tragitto da percorre. Il mondo ora vive una globalizzazione ancora più intensa, non realizzata soltanto attraverso rapporti economici ma culturali, grazie anche ad un insolito flusso di persone e all’uso della rete. Di questa situazione l’Occidente ne è l’artefice principale, o meglio, il creatore. Le altre potenze hanno seguito gli andamenti globali, si sono adeguati al modello economico elaborando anche delle risposte molto valide e competitive, tanto che l’Occidente può dirsi in crisi, senza essere scambiati per profeti apocalittici.
Della flessione occidentale le superpotenze, per utilizzare un lessico da cortina di ferro, non sono certamente spettatrici. Se l’obbiettivo della Cina è quello di assumere sempre maggiore importanza nell’economia globale e costruire una nuova Africa, come raccontavo in un vecchio articolo, il proposito della Russia sembrerebbe essere quello di destabilizzare le istituzioni democratiche, al fine di far prevalere delle linee politiche che disgreghino la coesione occidentale. E’ d’obbligo parlare al condizionale essendo delle ipotesi geopolitiche, che nascono dall’interpretazioni di fatti. Già la vicenda ucraina aveva svelato le mire russe, ma, tutto sommato, non era nulla di nuovo. Quello che più ha smosso nell’ultimo periodo i dubbi delle persone, sarebbe la presunta azione di una squadra di intelligence russa operante sul web attraverso dei troll sfruttati per la destabilizzazione dell’opinione pubblica occidentale.
Con la conclusione della campagna elettorale statunitense piovono accuse verso il Cremlino, s’incomincia a parlare di interferenze, di strategie online attraverso cui la Russia avrebbe tentato di influenzare l’opinione pubblica americana, preferendo evidentemente Donald Trump come nuovo presidente. Queste ipotesi prendono le forme di uno scandalo e gli Stati Uniti decidono di aprire un caso Russiagate. Robert Mueller, nominato procurato speciale del caso, è stato invitato ieri da Donald Trump a porre fine alle questioni del Russiagate, in un momento in cui l’inchiesta legate alle fabbriche da troll russe stava ingigantendosi. Da una fuga di notizie interna al dipartimento, il sito d’informazione statunitense, «Fivethirtyeight.com», diretto da Nate Silver, ha diffuso un file Excel in cui erano registrati milioni di interventi Twitter realizzati da profili non identificabili. Di questa possibilità si era al corrente. Quello che ha sconvolti tutti è un altro dettaglio. Tra una marea di tweet scritti in lingua inglese, ne sono spuntati altri in italiano.
Come gli Stati Uniti anche le elezioni italiane avrebbero vissuto la tempesta informatica russa. Il motivo? Sarebbe proporzionalmente lo stesso. Il fine? Anche. Far emergere i partiti populisti, facendo prevalere una linea politica sovranista. C’ chi è convinto della concretezza di questa supposizione, come l’ex vicepresidente degli Stati Uniti Biden. Altri, ovviamente i partiti che la Russia supporterebbe, ne prendono invece le distanze. Mentre per Michele Anzaldi e Carmelo Miceli è “urgente che il Parlamento italiano dia il via libera alla costituzione di una Commissione di inchiesta sulle fake news, per la quale è stato presentato l’articolato di legge il primo giorno della legislatura”, chiunque potrebbe chiedersi in che modo questo tentativo di influenza sarebbe avvenuto, quale sarebbe il procedimento attraverso cui l’intelligence russa agirebbe.
Perché se l’intera vicenda è avvolta da un magma mediatico che impedisce di fare delucidazioni su basi reali, al contrario è chiaro il meccanismo di interferenza. Sarebbero stati creati appositamente dei profili falsi, moltissimi account. Questi avrebbero contribuito alla diffusione di polemiche ripetute su temi d’attualità o, addirittura, di fake news. “Elena01”, “Brainwarning”, “Taxistalobbista” solo alcuni degli account che hanno pubblicato quei 16 mila post in italiano tra gli oltre 3 milioni scovati da Nate Silver. Profili anonimi, non identificabili o non riconducibili, avrebbero accompagnato gli ultimi due anni di vita della politica italiana sui social. La promozione ad oltranze di slogan o post lapidari di carattere strettamente populista. “Manderei la Boldrini in Libia con un barcone”, scriveva Elena01, lo stesso profilo che ha gridato “Mattarella dimettiti”. E così molti altri, il metodo di funzionamento è semplice: diffondere una notizia portandola all’estremo o trasmettere messaggi di forte rabbia, in modo da costituire una “densità” tale da esercitare l’attrazione dell’opinione pubblica. Tutto utile a fomentare il malcontento generale. Allo stesso modo questi profili avrebbero supportato esponenti della Lega o del Movimento, velocizzando la circolazione dei loro post.
Tutto questo sarebbe frutto di un tentativo di infiltrazione nelle politiche di una democrazia come quella italiana. Oggi il Corriere denunciava emblematicamente il caso di #dimettitiMattarella. Non si può ancora accusare nessuno; l’esistenza di questi profili è indubbia, è altrettanto certo il fatto che questi si siano schierati a favore dei populisti e che abbiano trasmesso a loro favore anche delle fake news, ma non si può, in alcun modo, ipotizzare un’interrelazione trai i vertici dei partiti populisti e i leader del Cremlino. Nel frattempo si chiede al lettore di diffidare sempre.