Jeff Bark, ultimi giorni per vedere Paradise Garage al Palazzo delle Esposizioni
C’è tempo fino al 28 di luglio per poter assistere alla prima personale italiana dedicata a Jeff Bark, fotografo statunitense che agli inizi di giugno è sbarcato a Roma per proporre il suo Paradise Garage.
Un matrimonio che si doveva fare, prima o poi, quello tra Bark e l’Urbe. La serie di scatti proposti al Palazzo delle Esposizioni è infatti dedicata proprio alla città dei Papi, del Barocco e dei nasoni.
Sia chiaro: in Paradise Garage non c’è una sola fotografia che immortali la Fontana di Trevi o il Foro Traiano. L’operazione di Bark risulta piuttosto una sorta di arricchimento per osmosi, di compenetrazione tra le arti che vede Roma come il motore d’ispirazione prediletto dal fotografo. Allora, guardando l’allestimento, si potrebbe giocare ad immaginare quei momenti in cui i grandi pittori del Rinascimento o del Barocco romano, giungendo alle dipendenze dei Barberini, dei Colonna, degli Aldobrandini, restavano talmente impressionati dalle innovazioni architettoniche e pittoriche della città da rivoluzionare il proprio tocco artistico, la grammatica della personale eloquenza pittorica.
A Jeff Bark deve essere successo un po’ lo stesso di Raffaello o Borromini. Così, dal suo studio nell’ Upstate New York, allestisce scenografie come fosse un artigiano del Borgo Pio per dare vita ad una serie di circa 50 scatti in cui la Città Eterna, in verità, riflette a pieno il suo splendore.
C’è spazio per le nature morte caravaggesche, per la ritrattistica di scuola fiamminga, ma anche per la compenetrazione tra elemento naturale e plasticità scultorea.
La magniloquenza degli sguardi si contrappone all’ironia di fondo di ogni singolo lavoro, segno che per Bark la fotografia è anche derisione del reale (e non è un caso se, durante il percorso della mostra curata da Alessio de’ Navasques, è presente un vero e proprio set di lavoro).
Nel momento in cui il progresso scientifico consente di immortalare la realtà con una qualità tecnica molto elevata anche con un semplice telefonino, il lavoro di Bark si sposta sullo studio stesso del soggetto, sulla costruzione di un impianto al servizio dell’obbiettivo (e per questo verrebbe da fare un’analogia con un altro fotografo ospitato qualche anno fa dal Palazzo delle Esposizioni, e cioè David LaChapelle).
Se la riproducibilità tecnica teorizzata da Benjamin giunge alla sua massima esasperazione, facendo di ognuno un possibile fotografo/musicista/artista in divenire, quanto senso ha continuare ad immortalare immagini ormai pop come i monumenti romani? Come fare, allora, a rendere moderno Caravaggio?
Bark sembra aver risposto efficacemente a questa urgentissima domanda, proponendo una rassegna di immagini che è al tempo stesso celebrazione del tempo e derisione di chi, il tempo, proprio non riesce a decostruirlo.
Con l’occhio puntato sul domani, Bark vive a pieno lo spirito di oggi, si rinchiude in un garage e dimostra di poter essere in una qualsiasi altra parte del mondo senza che ciò intacchi minimamente lo spirito di ciò che intende rappresentare. L’opera d’arte ai tempi della ilarità tecnica.