Wild Hearts per arrivare a Monster Hunter?
Per anni molti giocatori estranei alle console Nintendo, specialmente a quelle portatili, hanno sperato in un lancio multipiattaforma per una serie divenuta molto popolare per gli anni: Monster Hunter.
Iniziata su PS2 nel lontano 2005, Monster Hunter è stata lontana dalle console casalinghe per nove anni, fino all’arrivo di Monster Hunter: World su PC, PS4 e Xbox One.
Un’ulteriore espansione della serie è avvenuta lo scorso 12 gennaio tramite Monster Hunter Rise; rimasto esclusiva Nintendo Switch per quasi due anni e approdato finalmente su PC, PlayStation e Xbox, anche nel catalogo Game Pass.
Allettante l’idea di impersonare un guerriero che va a caccia di creature gigantesche, alimentata sicuramente dal successo di Horizon, soprattutto fra i possessori di PS4 e PS5.
Ma alcuni giocatori potrebbero aver avuto una brutta sorpresa nello scoprire che Monster Hunter non è esattamente un Horizon con più elementi GDR.
La celebre saga di Capcom è davvero un action RPG. Gli elementi da gioco di ruolo sono tantissimi e molto importanti, e lo stile nipponico ha una grossa influenza sul gameplay.
Un po’ come i “Souls”, Monster Hunter è una serie videoludica nella quale non bisognerebbe lanciarsi senza sapere cosa aspettarsi realmente, ed esattamente come avviene per i “Souls”, è facile che qualcuno tenti di realizzare un prodotto alternativo.
È il caso di Koei Tecmo in un’inedita collaborazione con EA Originals per produrre Wild Hearts, videogioco per PC, PS5 e Xbox Series X ed S sviluppato da Omega Force.
I puristi di Monster Hunter lo odiano, i fan più comprensivi lo trovano un’alternativa valida seppur non all’altezza, ma ci sarebbe una terza opzione: un videogioco per chi, come detto prima, si è scottato con Monster Hunter.
Un Monster Hunter… comprensibile
Wild Hearts è un fantasy sengoku ambientato nell’immaginaria Azuma, terra popolata da creature note come kemono.
Il gioco mette nei panni di un cacciatore di kemono (personalizzabile tramite un ottimo editor) essendo la sopravvivenza degli umani legata a quella di queste creature. Bisognosi del loro habitat, i kemono impediscono all’uomo di proliferare, ed essendo molti di essi giganteschi, e aggressivi se attaccati, non è facile per gli umani avere la meglio.
Non è facile nemmeno per il protagonista, sconfitto immediatamente da un feroce kemono (tutorial “alla FromSoftware”) dall’aspetto di un lupo gigante che scatena tempeste di neve.
La salvezza arriva da un misterioso uomo mascherato che suggerisce di cercare Minato, la città dei cacciatori, donando un portentoso artefatto chiamato karakuri.
I karakuri sono fondamentali per la caccia ai kemono, e l’abilità ottenuta dal protagonista nel poter creare karakuri potrebbe essere la chiave per la salvezza di Minato e dell’intera Azuma.
L’introduzione di Wild Hearts corrisponde anche all’introduzione del suo gameplay, ed è la prima differenza che potrebbe attrarre un novizio del genere a quest’opera, piuttosto che a Monster Hunter.
Facendo un paragone con la serie di Capcom, Monster Hunter Rise offre fin da subito una miriade d’informazioni e di possibilità, nelle quali è facile che si vada a perdere ciò che il giocatore necessità all’inizio.
Al contrario, Wild Hearts spiega le meccaniche di gioco una alla volta.
Si comincia con il movimento, gli attacchi di base e gli attacchi a sorpresa, poi il primo karakuri: la cassa.
Viene mostrato prima di tutto come utilizzarla per scalare le pareti troppo alte, quindi dove e come ottenere il filo karakuri per creare questi artefatti.
In seguito viene mostrato come utilizzare la cassa per sferrare gli attacchi più potenti, poi come sfruttarla per bloccare alcuni attacchi dei kemono giganti.
Nulla impedisce al giocatore di anticipare alcuni eventi e dare la caccia ai kemono che girano liberi nelle aree di Azuma, andando a soddisfare in anticipo l’obiettivo di alcune missioni secondarie, oppure sbloccando nuovi karakuri nell’albero delle abilità prima ancora che questi vengano spiegati.
Tuttavia, almeno nelle prime fasi di gioco è bene seguire le indicazioni della main quest, la quale non solo tende a spiegare i karakuri suggerendo l’utilizzo in base al kemono che si affronta, ma può anche vedere attivarsi, in determinati momenti della lotta contro le creature, dei Quick Time Event che permettono di sbloccare karakuri combinati anticipando il percorso dell’albero delle abilità.
Ad esempio, per bloccare un attacco della Coda del verno può bastare una cassa karakuri, mentre per bloccarne uno della Zanna Reale serve ben altro. Ecco allora che durante una delle cariche di quest’ultimo, il protagonista ha un’intuizione: il gioco chiede di premere il tasto del menù karakuri e svela una combinazione per creare un baluardo!
Wild Hearts resta comunque un action RPG con una sua complessità, tra karakuri di combattimento, di supporto e gestionali, armi con i loro alberi delle abilità, ecc.
Tutto ciò va ben gestito per sconfiggere il più velocemente possibile e in maniera fluida i diversi kemono; lanciarsi alla cieca potrebbe far capitombolare già contro le prime creature, ma un altro vantaggio di accessibilità di questo titolo rispetto a Monster Hunter sta nella fluidità dell’azione e nel feeling del combattimento.
I movimenti del protagonista sono rapidi, i suoi salti sono piuttosto lunghi, scalare le pareti è abbastanza arcade ma fluido, e sferrare colpi dà la sensazione che ci si aspetta.
Per fare di nuovo un confronto, in Monster Hunter Rise risulta inizialmente tutto più macchinoso e legnoso, nonostante la medesima ambientazione fantasy sengoku.
Difetti “nipponici”? Comunque gravi
Indipendentemente dal confronto con il ben più rodato Monster Hunter, Wild Hearts non è un titolo privo di difetti, alcuni dei quali risultano anche gravi al giorno d’oggi.
Si tratta di difetti che verrebbe da etichettare come tipici di produzioni nipponiche, ma ciò non cambia la percezione e la critica nei loro confronti.
Il primo che salta all’occhio è il comparto tecnico. Rispetto alla controparte occidentale, le produzioni nipponiche sono quasi sempre arretrate a livello poligonale e di ottimizzazione, da almeno un decennio a questa parte, ma è intollerabile il fatto che la grafica di un videogioco next gen risulti arretrata persino di fronte al comparto tecnico di opere cross gen.
Non è esente nemmeno da problemi di ottimizzazione quali aliasing, pop-in delle texture e compenetrazioni.
L’unico elemento grafico che da effettivamente l’idea di star giocando su una nuova generazione videoludica, sono i modelli dei personaggi che, nel vederli, danno un senso di pienezza.
Non saranno i volti più curati nei particellari, anzi, ma è da notare come i lineamenti del viso o il movimento della bocca rendano l’idea di un tridimensionale moderno.
Molto bene anche il doppiaggio nostrano e il fatto che il lip sync del gioco si adatti alla lingua parlata. Peccato per le animazioni che presentano spesso il problema di rigidità visto all’epoca in Horizon Zero Dawn. Anche questo è un difetto intollerabile se si considera che l’opera di Guerrilla Games risolse questo problema non solo nel suo sequel, ma già nel DLC del primo capitolo pubblicato nello stesso anno.
Un altro problema intollerabile al giorno d’oggi è la gestione della telecamera, facile da rendere complicata a causa degli ambienti di gioco e dei nemici giganteschi piuttosto agili.
La presenza del lock-on non aiuta più di tanto, ed è un peccato che sia presente solo per i kemono giganti e non per quelli piccoli. Avere difficoltà a puntare un nemico debole potrebbe risultare problematico durante il combattimento con un kemono potente.
La telecamera è problematica soprattutto con la meccanica dell’arrampicarsi sui kemono, i quali continuano tranquillamente a fare le loro movenze durante l’appiglio, senza che il gioco offra alcun cambio di visuale.
Ad esempio, se ci arrampica su un Dorsorubino, gigantesco gorilla incendiario che fa le capriole, è più facile che si perda la presa (o che venga la nausea) piuttosto che raggiungere l’obiettivo, ovvero distruggere uno dei punti deboli del kemono in questione.
I difetti propri del gameplay, invece, risiedono nel suo stesso pregio: la lotta contro i kemono. Il fine ultimo di Wild Hearts, in fondo, è sempre questo, sia nella main quest che nelle missioni secondarie. La storia, seppur ben raccontata in ogni ambito, è semplicemente una giustificazione per cacciare i kemono, senza l’epicità che potrebbe avere, per esempio, un capitolo di Halo.
Il problema è che abbattere un kemono richiede tempo, nonostante sia possibile rendere più facile la pratica diventando più bravi e più forti, ma nelle risorse per creare e potenziare le armi, e per forgiare armature, rientrano sempre materiali ottenibile esclusivamente abbattendo i kemono, o addirittura distruggendo determinate parti del corpo delle creature prima che questo venga sconfitto.
In poche parole, la progressione del personaggio è basata sul grinding, ma quest’ultimo è tutt’altro che agevole in Wild Hearts. Mancherebbe una tipologia di kemono intermedi tra i piccoli e i grandi, al fine di avere combattimenti opzionali divertenti ma non troppo impegnativi.
A complicare quanto appena detto entra in gioco la meccanica della fuga dei kemono, i quali più volte durante il combattimento arriveranno al punto di bloccare la lotta per fuggire in un’altra area, facendo semplicemente perdere tempo al giocatore per inseguirli e riprendere il combattimento dove lo si era lasciato.
Wild Hearts per arrivare a Monster Hunter?
Impossibile lanciarsi alla cieca verso Wild Hearts nel confronto con Monster Hunter se non si conosce bene la serie più celebre, ma se la nuova opera di Omega Force riesce a farsi giocare, mentre ben più noti titoli dello stesso genere hanno fallito persino in questo con diversi giocatori, qualcosa da evidenziare c’è.
I difetti di Wild Hearts sono innegabili, alcuni anche gravi, ma lo sono anche i suoi pregi. Tendenzialmente ci sarebbe da fidarsi di chi è più esperto del genere riguardo la superiorità di Monster Hunter, ma questo fa di Wild Hearts un gioco da ignorare per forza?
Inoltre, se è vero che Monster Hunter andrebbe preferito in quanto più complesso di Wild Hearts, quest’ultimo potrebbe essere un punto di partenza per raggiungere quella che è considerata l’opera magna del genere.
Magari partendo con un videogioco che introduce passo dopo passo il complesso gameplay che offre, si potrebbe tentare in seguito con Monster Hunter forti di una preparazione che renderebbe più facile l’inserimento nella community.