Nell’ottagono di Carlo Pedersoli Jr
Sport
26 Settembre 2023

Nell’ottagono di Carlo Pedersoli Jr

di Lorenzo Bruno

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Restringere la lotta ad un atto prettamente fisico è un errore banale, un’analisi superficiale dello sport da contatto in tutte le sue forme. Dietro ogni lottatore c’è un uomo, dietro ogni lotta, vittoria o sconfitta che sia, c’è lavoro, sudore e sacrificio. Con Carlo Pedersoli Jr non abbiamo fatto un’analisi del suo stile di lotta, non abbiamo parlato delle sue vittorie ma del suo approccio umano alla lotta, delle sue paure da uomo e da lottatore; poche parole sul futuro o sul passato…abbiamo preferito il presente. 

Ciao Carlo, benvenuto su 2duerighe, ti ringrazio per la tua disponibilità ed inizio con la prima domanda: cosa rappresenta la sconfitta per un lottatore?

La sconfitta, in generale, è il momento peggiore per un atleta. Rappresenta un momento di delusione per i traguardi non raggiunti, tutto viene scaraventato in un angolo, sicuramente, la forza dell’atleta si vede in queste situazioni. In quei momenti vediamo quanto un atleta è duro, se si sa rialzare, se sa rimettersi in asse. Ci sono molti atleti che, dopo un ko, non sono riusciti a tornare gli stessi, la sconfitta serve dunque a capire di che pasta è fatto e capire quanto è duro nello sport e nella vita, a prescindere dallo sport che si pratica.

Finire a tappeto è il momento di solitudine massima per un lottatore, concordi?

Il problema è che ti sei allenato per mesi, per anni e vedi tutto finire in pochi secondi. Riguardo la solitudine, se hai un team solido, ti sta vicino nella vittoria e nella sconfitta. Si, KO ci vai tu ma ci va anche tutta la squadra, ho sempre ragionato da team perché loro investono quanto investo io.

Ci sono tanti lottatori credenti, tu credi in Dio? Se non è la fede, come alimenti lo spirito?

Non prego prima di iniziare un match, non ho quel tipo di fede come i brasiliani o gli islamici. Il mio tipo di fede si palesa nei momenti di solitudine, rifletto e provo a entrare in contatto con me stesso ma è una cosa che non porto nel match. Quando sono dentro l’ottagono sono me stesso contro un’altra persona. Credo dipenda più da me che dall’altro. Sono consapevole, comunque, che il destino giochi un ruolo molto importante ma quando sono lì dentro mi concentro su di me e sulle mie sensazioni, fidandomi solo di quelle.

Se non avesse fatto il lottatore nella vita, Carlo Pedersoli cosa avrebbe fatto?

Ho molte passioni, sono anche un imprenditore, ho un brand alimentare di prodotti proteici e dietetici. Sicuramente sarei potuto diventare un bravo meccanico per la passione che ho per tutto ciò che gira intorno ai motori. Avrei potuto anche lavorare nella moda. Non mi fermo allo sport, tutti dovrebbero avere delle passioni esterne alla propria professione, valvole di sfogo, altrimenti la professione elemento deleterio per la mente e per il corpo.

Un ricordo di tuo nonno Bud?

Ho tanti ricordi, uno dei più belli è quando ci vedevamo i match insieme e poi parlavo con lui per confrontarmi, quello è il ricordo più bello. 

Anche vedere i suoi film insieme è stato un momento di condivisione importante.

Sei un lettore?

Purtroppo no, appartengo a una generazione che ha conosciuto i videogiochi e YouTube. Sono abbastanza pigro nella lettura. Mi capita di leggere ma raramente, e mi dispiace. 

Un libro che ti ha segnato?

L’arte della guerra di Sun Tzu e anche La via del guerriero di Bushido sono due libri che mi hanno colpito.

Hai mai pensato di smettere di combattere?

Dopo ogni sconfitta dico “basta” ma alla fine dopo poco mi va di tornare, è una dipendenza simile a quelle delle droghe quando si pratica uno sport del genere. Sei dipendente dall’adrenalina, dalla sete di vittoria ed è difficile staccarcisi, attualmente ho tanta voglia di continuare.

Qual è la paura di Carlo da lottatore e quale quella di Carlo uomo?

Premetto che non mi reputo un pauroso. Se sei un fifone questo sport non lo puoi fare perché, obbiettivamente, serve una percentuale di coraggio importante nel salire nell’ottagono per confrontarti con un altro uomo e quindi batterti contro un avversario preparato e forte. La paura cresce, si, ma non puoi essere un animo pauroso. 

Più che paura è voglia di non perdere, di non uscire sconfitto dall’ottagono e quella c’è sempre. Quando entro però, azzero tutto, non ho alcuna paura ed è importante secondo me questo passaggio. Chi entra in gabbia con la paura o ne esce sconfitto o la tramuta in vittoria ma sono davvero pochi.

Come uomo anche non sono pauroso. Cerco di vivermi la giornata al cento per cento, giorno dopo giorno, senza pensare alle mie paure e ai miei dubbi. Da atleta, se accetto il combattimento, una paura iniziale c’è, ma poi il lavoro sta proprio nel tramutarla in coraggio. Questo è il lavoro più forte che un atleta può fare, prima del match e durante la preparazione.

Grazie Carlo e in bocca a lupo per il futuro.

Grazie a voi.