Roma, zona Cassia. E’ territorio di stranieri, quelli dipendenti dalle ambasciate e quei lavoratori che occupano posti di servizio e manovalanza nei più o meno lussuosi siti abitativi o nella ristorazione. Sono villette, residence condominiali e alberghieri immersi nel verde, istituti religiosi privati, centri commerciali, via via fino a più modeste costruzioni pullulanti nelle stradette tutte parallele che configurano la caratteristica topografia a spina di pesce di quel tratto centrale della Cassia che gravita attorno all’Ospedale di S.Pietro e oltre, fino alla Giustiniana.
Le fermate degli autobus sono poli quasi esclusivi di questa popolazione silenziosa e composta di immigrati, quasi tutti provenienti dall’est europeo e asiatico, ma anche africani e sudamericani.
Una festa filippina
Ci siamo casualmente trovati in un ristorante cinese insieme ad un’amica belga residente in zona, imbattendoci in una festa filippina di compleanno. Ecco, se all’inizio il superaffollamento del locale non presentava l’ideale per una pausa di rilassamento domenicale, la “cerimonia” ci ha offerto uno spaccato culturale davvero interessante.
La festeggiata compiva diciotto anni. Vestito rosa confetto, corpino stretto tempestato di lustrini, amplissima gonna a lampadario debordante di volants, tanti fiori nella chioma abboccolata, tipo quelle bambole d’anteguerra che troneggiavano in bella vista sul letto matrimoniale . I maschietti, dai quindici in su, pantaloni stretti neri e camicia bianca con papillon nero, chiome impomatate con provocatorio ciuffo alla Elvis Presley, recavano ognuno in mano una rosa rossa a stelo lungo e una candela da donare alla festeggiata in un simbolico rituale.
Si faceva notare una giovane coppia, lei un’italiana procace, lui filippino, corporatura da macho degno di “Amici” della De Filippi. Lei spingeva una carrozzina con un bimbo neonato. Erano da poco sposati, ci hanno detto, mostrandoci con orgoglio la fede d’oro ancora luccicante. Lui svolgeva mansioni di cuoco e giardiniere in una villa della zona, lei faceva la badante.
Questo un inciso di colore per evidenziare come ogni etnia formi una sua colonia di appartenenza, fedeli a quelle tradizioni che li fanno sentire ancorati ai luoghi di origine. Ben venga l’ingenua bambolona vestita di rosa, i ragazzi col ciuffo gelatinato, rose e candeline colorate, quando gli stranieri riescono ad integrarsi nel nostro tessuto sociale non lasciandosi attrarre da guadagni facili.
Ma, allora, c’è qualcuno che rivendica il problema grave degli italiani, se sia giusto che l’invasione degli stranieri metta a repentaglio il nostro prioritario diritto alla casa e al lavoro. E’ incontrovertibile che gli stranieri fanno molto comodo, che lavorano anche sottopagati e che fanno lavori che gli italiani rifiutano. Succede qui da noi e nei loro Paesi d’origine, specie nell’Est, dove tutti sappiamo come gli imprenditori nostrani da tempo delocalizzino le loro manifatture in Paesi dove il costo della manodopera è assai attraente.
La reale impossibilità di un posto di lavoro ha finito per fiaccare molti dei nostri giovani in un limbo di pigrizia fatalistica, spesso distruttiva, mentre si sta registrando una precisa inversione di tendenza dopo il grosso fenomeno della chiusura delle fabbriche e degli “esodati”, che vede costretti i padri di famiglia a mettersi in fila per quei ruoli di servizio e manovalanza finora occupati dagli immigrati. Si acutizza così la concorrenza tra italiani e stranieri.
La neo eletta alle Politiche dell’Integrazione, il medico Cécilie Kyenge Kashetu, cittadina italiana di origine congolese, viene salutata con simpatia da molta parte degli italiani, come si salutò l’avvento di Obama. E’ il nuovo che incombe. E l’Italia deve rinnovarsi.
Vediamo con piacere, nelle nostre farmacie romane, dottori farmacisti di colore assai seri e competenti. Siamo gli ultimi in Europa ad adeguarci al riguardo, ad aprire le porte a professionisti stranieri assai validi.
Molti temono che la scelta della Kyenge sia il preludio a nuove ondate di immigrati sul nostro suolo. Quello dei clandestini è un discorso diverso, perché si tratta di un fenomeno dai connotati dispersivi, assai difficile da arginare una volta che questi diseredati in cerca di speranze mettono piede sulla terraferma, se ci riescono.
Noi speriamo che la politica della Kyenge si dimostri, nel merito, in tutta la sua oculatezza femminile e che si concentri soprattutto sul suo programma: dare legittimità di cittadinanza ai figli di stranieri residenti in Italia per quello “ius soli” o “ius sanguinis”, già oggetto di proposte di legge ferme ormai da troppi anni in Parlamento.
Non sembra peraltro opportuno, in un momento critico come questo, aprire oltremisura i boccaporti , sine iniuria verbis.
Angela Grazia Arcuri
Roma, 2 maggio 2013