Confessiamolo e…confessiamoci ( sull’onda del new deal vaticano). Chi di noi non si è mai lasciato andare all’eruzione verbale di un foruncolo covato dentro da tempo contro qualcuno o qualcosa che ci stava sullo stomaco?
E’ tutta questione di modalità, tempi, luoghi, circostanze. La parolaccia può diventare addirittura poesia se espressa in modo creativo o persino rivestirsi di eleganza se dal gergo la si pronuncia in italiano forbito. Provate! Come si dice, est modus in rebus. Scade invece nel turpiloquio fine a se stesso quando viene intercalata in qualsiasi discorso come mezzo propulsore di un pensiero che non sa esprimersi altrimenti, diventando così un efficace ausilio linguistico di genere pop.
Il Presidente della Regione Siciliana Rosario Crocetta ha defenestrato Franco Battiato, assessore al turismo, il quale, nel corso di una seduta presso il Parlamento Europeo, ha chiamato “con il proprio nome” certe signore che si rompono la schiena pur di conquistare un “posto al sole”. Caro , candido Battiato, apprezziamo assai certe tue… licenze poetiche, ma purtroppo a Bruxelles è d’obbligo esprimersi con una certa “politesse”! L’Europa ci guarda.
La “Sora Annarella” di Montecitorio
Nei pressi del Parlamento da un po’ di tempo si aggira una colorita vecchietta, la Sora Annarella, che va rompendo i “cabbasisi” ( per dirla con il Montalbano di Camilleri) a tutti i politici che le capitano a tiro. Micidiale vegliarda, le sue grevi esternazioni non aiutano davvero a risollevare l’immagine già tanto compromessa della Capitale. E appare lampante come tutti i politici, che si soffermano dandole fin troppo spago, approfittano della presenza dei fotografi per mettersi in mostra.
L’ ingenua vecchina (ma non tanto) con i suoi insulti è diventata prezioso strumento di propaganda politica e alimento del gossip, la quale l’affianca a quell’Onorevole Angelina, vecchio film di Anna Magnani. Resta indimenticata quella popolana romana pasionaria, coraggiosa, che niente ha a che fare con le scurrili proteste della Sora Annarella malata di protagonismo e ormai priva di qualsiasi inibizione per arteriosclerosi avanzata.
Insulti a tavola
Sempre a Roma, esiste da un’infinità di anni una famosa trattoria in Trastevere, “La Parolaccia”, ben conosciuta dai romani e dai turisti delle regioni limitrofe che qui vengono in comitiva per una serata all’insegna dell’anticonformismo. Meglio non andarci se si è permalosi, ma muniti di corazza contro i pesanti apprezzamenti che ti accolgono non appena varcata la soglia del locale. Tovaglie a quadretti, stornelli a dispetto, cibo un po’ frettoloso, paghi un conto piuttosto salato per il folklore e per essere bacchettato ad ogni boccone. Occorre stare al gioco, quello della verità. Tante risate per chi apprezza la banalità e le battute al fulmicotone. I “sensibili” restino a casa per non farsi risvegliare qualche frustrazione assopita.
Dal… cuore alle labbra
Da che mondo è mondo non esiste parolaccia se non originata da quell’… esercizio sessuale che ci è stato offerto da madre natura. Quell’atto stesso, al di là della sublimazione poetica, diventa strumento vocale e scritto per liberarsi dallo stress, per difendersi dagli attacchi, per ironizzare, per disprezzare ed anche per esaltare. Una bella donna che passa viene subito identificata ed apostrofata con quella parte del suo corpo che la distingue dal maschio, con variazioni spesso assai fantasiose da regione a regione. Ma la donna non può permettersi risposte adeguate sia per timore di ritorsioni e sia perché, malgrado la cosiddetta emancipazione, viene ancora considerata l’essere angelicato col giglio in bocca e allo stesso tempo oggetto di stupro e violenze criminali.
Meglio allora una innocente parolaccia come atto liberatorio, valvola di sfogo delle inibizioni. Chi è in pace con se stesso non avverte l’urgenza di partorire dalla bocca lo sproloquio. Al contrario, le insoddisfazioni e le frustrazioni di ogni genere, pane quotidiano del nostro periodo di crisi, appesantiscono la mente e la lingua, ritorcendole contro gli altri con aggettivi pesanti presi a prestito dall’ampio vocabolario appartenente alla sfera sessuale.
La parolaccia…letteraria
Ne sanno qualcosa i classici greci come Omero e Aristofane, i romani Cicerone e Giovenale, Boccaccio col suo “Decamerone” , il quattrocentesco Pietro Aretino il cui epitaffio recita : “Qui giace l’Aretin, poeta tosco, di tutti disse mal fuorchè di Cristo, scusandosi col dir ‘non lo conosco’ “.
Moderno Aretino, ne raccoglie l’eredità il nostro critico Vittorio Sgarbi, che sollazza gli auditori televisivi con frecciate non propriamente allusive.
Anche Padre Dante non si è risparmiato quanto a riferimenti scurrili lungo il suo viaggio per i maledetti gironi infernali. Come in quel verso famoso alla fine del XXI Canto, quando, riferendosi a Barbariccia che doveva dar ordine a un drappello di diavolacci di mettersi in marcia, non potendo figurarlo con uno strumento a fiato, lo fece esprimere con un mezzo del tutto naturale e immediato: “ed egli avea del cul fatto trombetta”. Plotone, marsch!
Se Dante non risparmiava le allegorie, affondando fino al collo nelle “deiezioni” corporee i “ruffiani” e gli “adulatori” , nel ventunesimo secolo usiamo la legge del contrappasso sciorinando innocui e non profumati improperi… particolarmente efficaci alla rappresentazione di certi personaggi che popolano al momento la classe politica.
E’ apologia della parolaccia, la nostra ? Forse. Ma se serve talvolta come cura antistress al posto di pillole tranquillanti nocive alla salute, ben venga l’autoterapia con il lancio di qualche “apostrofo rosa !…..
Angela Grazia Arcuri
Roma, 10 aprile 2013