Terrore a Dacca – Daesh: ci siamo sempre, sotto a chi tocca
Ci colgono sempre di sorpresa, stavolta alla sprovvista su un obiettivo forse trascurato in quanto non incluso tra quelli a più alto rischio di terrorismo. E’il Bangladesh: un Paese piuttosto pacifico ma non del tutto indenne da infiltrazioni terroristiche e nemmeno tanto piccolo, ma che non sai dove andarlo a cercare a colpo sicuro sulla cartina geografica dell’est del mondo.
Ma in quella capitale, Dacca, molto popolata e operosa, dove uno dei rami portanti dell’economia è quello tessile per le vaste piantagioni di juta, proprio là si erano diretti quei nostri imprenditori tessili per portarvi la loro creatività, l’esperienza e il gusto degli italiani. Erano felici quei nove italiani tra i cingalesi, gente mite e tranquilla, uno stile di vita lontano dal caos dell’occidente.
Ecco i volti dei nostri connazionali, i loro nomi per poterli ricordare, anche se non in ordine di foto: Nadia Benedetti, Cristian Rossi, Marco Tondat, Claudio Cappelli, Vincenzo D’Allestro, Simona Monti, Maria Riboli, Claudia D’Antona e Adele Puglisi.
Diventati grandi amici, quel venerdì 1° luglio si erano dati appuntamento prima delle ferie estive nel ristorante del quartiere diplomatico di Dacca, noto per la cucina mediterranea. La brunetta Simona Monti attendeva un bambino, che voleva far nascere in Italia, un’altra vita all’attivo degli aguzzini…
Daesh, negli ultimi tempi, sembrava quasi essersi defilato, sembrava aver perso la sua forza distruttrice dopo i fatti di Parigi e Bruxelles. Ma stava solo ricaricando le sue batterie. E sceglie un obiettivo logisticamente facile, vicino ai territori di conquista del Califfato. Non è difficile individuare a tavolino una località come Dacca, un locale pubblico frequentato per eccellenza dagli infedeli occidentali, rappresentanti di un mondo imprenditoriale che loro vogliono far scomparire. La solita invocazione di “Allah hu akbar” appare quasi scontata, un paravento religioso dietro il quale nascondere le loro vere brame di egemonia. Tutto l’apparato inscenato proprio nel periodo del Ramadan, le povere vittime sgozzate come i capretti della festa del sacrificio (l’Eid El Kebir), tende a teatralizzare un secolare rito islamico al fine di destabilizzarci.
L’emozione della perdita di altre, preziose vite, è sempre tanta. Le parole giuste faticano ad uscire dopo l’ennesima tragedia di sangue e morte. E’ chiaro che cercano di dividerci, di perpetrare lo scontro tra civiltà, ma non glielo permetteremo. Il prezzo è molto, troppo forte, ma loro, i signori del Daesh, “non praevalebunt”.