RITA LEVI MONTALCINI: ritratto di una Donna
Piccola, grande donna, fuscello esile e pur tanto maestosa nell’invadente fisicità del Paese dell’immagine, figurina anacronistica nella garbatezza del portamento, nelle sue camicette fin de siècle, nella dolcezza del sorriso di una donna non aggressiva che ha saputo… aggredire il secolo.
Rita Levi Montalcini, la scienziata del Nobel, lascia un’impronta nello spaccato di Cento Anni tutti italiani, quel ‘900 che ha rivoluzionato la scienza, le arti, il costume sociale. Ci ha salutato proprio a fine d’anno, silenziosamente e pur con tanto rumore simile ad un fuoco pirotecnico, forse per ricordare alle menti distratte ciò che ci stiamo lasciando alle spalle e riportarci a una dimensione diversa che ci vede traversare una linea Maginot tra il vecchio e il nuovo.
E’ un invito corale, quasi una preghiera muta che da tutte le parti più responsabili sta dirigendosi verso il cielo oscurato di un Paese stanco. Le zavorre ci pesano, ci pesano i veleni, quelli chimici e quelli dei nostri cuori che non sanno vedere, che cedono alle ipocrisie, al tornaconto e non al bene dell’Italia.
La scienziata ci ha indicato la via per comprendere e migliorare l’uomo con le sue ricerche sulle fibre nervose del nostro cervello: anni di studi, fogli e fogli di carta che, con inspiegabile modestia, voleva distruggere prima di morire, credendo che non fossero poi così importanti! Quegli stessi studi che le valsero il Nobel nel 1986, costituenti la prima pietra per ulteriori ricerche sul “controllo” di quella nostra componente emotiva che la scienziata riteneva la conquista più urgente della scienza neurologica. Ciò in quanto, proprio nella neo corteccia cerebrale risiede quella “ emotività “ che è causa di tante deflagrazioni sociali. Riuscire a “controllare” quella parte del cervello sarebbe un grande traguardo per l’umanità. E’ quanto con passione si augurava.
La Montalcini credeva fermamente che il progresso di un Paese è la continua capacità di indagine, di ricerca: non si può mettere un lucchetto al cervello dell’uomo. Se poi le ricerche di uno scienziato – notava – vengono mal utilizzate da interessi politici, egli non può saperlo a priori.
Quando a 31 anni, dopo la lunga parentesi in Belgio a causa delle persecuzioni razziali, torna nella sua Torino, è nella sua piccola stanza da letto che allestisce un laboratorio per le sue ricerche. E da allora, fino al giorno prima di morire nella sua casa romana, non si ferma mai nei suoi studi. Oltre alle cure scientifiche, i suoi interessi primari si rivolgono alle problematiche sociali, con particolare coinvolgimento verso i giovani ricercatori e al pianeta “donna”, che lei, studiosa del cervello, asseriva inconfutabilmente pari all’uomo.
Addio piccola e grande Donna, onore di un’Italia da tanti disonorata…
Angela Grazia Arcuri
Roma, 1 gennaio 2013