SALVATORE PAROLISI: misteri irrisolti di una condanna all’ergastolo
Il caporalmaggiore può scordarsi quel baschetto. Forse, per quel baschetto ha ucciso, forse per quel simbolo Melania Rea è stata uccisa. Restano i “ forse” e non le certezze.
Il suo silenzio su cose che non vuol dire porta lontano, al di là del movente passionale. I processi mediatici hanno sviscerato la vicenda in tutte le sue angolazioni, coinvolgendo criminologhi, avvocati, psicologi, opinionisti : innocente o colpevole? Ma la giustizia dei tribunali ha decretato la sua colpevolezza con l’ergastolo.
Una frase di Parolisi ci ha colpito, quella emersa dalle intercettazioni delle telefonate intercorse con l’amante Federica, quando lui dice queste testuali parole: “ Io non ho ‘toccato’ niente….”. E’ un’affermazione che fa pensare.
Un conto è dire “Io non l’ho toccata”, che significherebbe semplicemente voler dichiarare la sua innocenza, e un conto la frase pronunciata. Il “ non aver toccato niente” significa trovarsi da spettatore di fronte a un fatto compiuto da altri, preordinato, e nel quale lui non è intervenuto in prima persona, anche se pienamente consapevole di quanto sarebbe accaduto o stava accadendo sul corpo della moglie.
Ci si chiede se i giudici abbiano valutato questo aspetto secondo noi molto importante. Può esserci sotto la chiave della vicenda, sempre che Parolisi non sia incorso in un’espressione verbale non appropriata e superficiale nella foga della conversazione con l’amante , piangente e disperata.
Comunque siano andati veramente i fatti, Parolisi è colpevole, molto colpevole dall’inizio alla fine della sua storia con Melania, colpevole verso se stesso, colpevole verso la moglie, colpevole verso la figlioletta, colpevole di aver tradito la fiducia della famiglia di Melania, colpevole anche verso la nuova donna dagli occhi di ghiaccio che aveva creduto in un sentimento sbagliato.
Carmela Melania Rea…….Bisognerebbe piuttosto spendere una parola di più per lei, l’unica protagonista che non può più raccontarci la verità vera di quel 18 aprile 2011 su al Bosco delle Casermette. Ogni volta che compare la sua immagine è una ferita che si riapre nel cuore di chiunque ha seguito con passione l’intera vicenda : il volto bellissimo, lo sguardo limpido, un po’ ingenuo e sognante, quello di una ragazza che circoscrive la sua vita all’ambiente familiare e amicale. E’ la Melania Rea cresciuta in una famiglia perbene dell’entroterra napoletano, col timore di Dio e con l’attaccamento ai valori che contano, quella che aspetta il principe azzurro come tutte le ragazze del mondo e di tutte le latitudini…….E’ la provincia del sud, dove per i giovani la modernità è solo un fatto esteriore di abiti firmati , ma che rimangono ancora legati a certi sentimentalismi romantici , ai conformismi di maniera , e che ben vengano se ancora esistono nel resto di una società malata. La famiglia di Melania è quella di gente pulita che vive di lavoro e di rigore, che sa insegnare ai figli come procedere nella vita senza lasciarsi coinvolgere negli inganni dell’illegalità. La famiglia Rea è questa . E tutti abbiamo avuto modo di ammirare la compostezza e la dignità di questo nucleo familiare trascinato dall’oggi al domani in un pozzo di dolore da un genero scriteriato e farfallone.
E’ la Melania che credeva di aver toccato il cielo con un dito nell’incontro con Salvatore, senza strappi nel suo sentimento incondizionato pur nella ridda di voci che lo dipingevano come uno “sciupafemmine”. Quando lui viene trasferito nella caserma di Ascoli Piceno, lei lo attende trepidante cucinandogli manicaretti e dolcetti a forma di cuore. Ma il caporalmaggiore non si accontenta della bellissima moglie di Somma Vesuviana che vive nelle tranquille aspettative delle mura casalinghe. Il contrasto tra la moglie e le soldatesse è uno stimolo forte alle sue curiosità sessuali, ai suoi desideri avventurosi e la caserma 235 se ne rivela una palestra assai allettante.
E’ la Melania che difende con le unghie e coi denti quel suo matrimonio, che tira fuori tutta la grinta di donna ferita, che forse minaccia di dire cose che non si devono sapere per la sopravvivenza della caserma. Forse cose molto scomode per le istituzioni. Ciò che è successo là dentro, quali i misteri e le commistioni, non si sa.
Si sa invece come andrà a finire nella sentenza di Appello. Se lui vorrà parlare, gli anni che dovrà trascorrere in carcere non saranno mai troppi. Gli rimane la sua fragilità, l’espressione piagnucolosa di fronte alla sentenza di primo grado. Piange sui suoi fantasmi, sulle mille bugie, sulle sue messinscene da attore consumato. Forse, anche per il corpo profanato di chi gli preparava cuoricini di pastafrolla.
Angela Grazia Arcuri
Roma, 5 novembre 2012