SALVA-ITALIA: nuovi veleni per uno stivale alla deriva
Cercasi Italia disperatamente. Come una commessa del nostro supermercato cui i genitori nostalgici hanno dato il nome di “Italia”: bella, alta, slanciata, il nome le si addice a perfezione. Tutti la cercano e la chiamano di continuo: “ ciao, Italia!….dove sta Italia?”. E giù battute del caso.
Già, dove sei Italia nostra? Quello stivale un po’ sbilenco, miracolo geofisico proteso nella culla mediterranea, tutti si affannano a ripescarlo prima che vada alla deriva. Al di là dell’aureola alpina stanno tirando le funi per trattenerlo, per non mandarlo in attrito, da un lato con la Grecia e dall’altro con la Spagna. Un patatrac sarebbe fatale.
Mentre la danza della pioggia sta sortendo i suoi effetti, l’arrivo di una “Beatrice”affatto paradisiaca pone fine all’inferno climatico e comincia a delineare un panorama pre-autunnale in cui la metafore dantesche si trasferiscono sul piano politico. Non ‘ pace e bene’ per salutare il rientro dalle ferie, ma nuove e assai vecchie polemiche si riaffacciano a rompere possibili equilibri necessari per affrontare tutti i gravi problemi che ci stanno davanti. Scoop provocatori, illazioni, tentativi di destabilizzare le più alte cariche dello Stato. E’ grave.
Nemmeno più le metafore possono addolcire la pillola. Il cuoio dello Stivale rischia di marcire nel marciume generale. Gli italiani, la gente comune, quella che aspetta e aspetta e aspetta, si aggrappa come può al primo legno galleggiante.
Ora, l’impellenza della situazione detterebbe regole pacificatrici. Ma tutto quello che si potrà fare nell’arco di questi pochi mesi che ci separano dall’anno nuovo, sicuramente sarà nell’ottica del breve termine, una visione ristretta e poco lungimirante per le nuove generazioni che aspettano luci nuove. Sono giovani senza lavoro, giovani con occupazioni precarie che non riescono a metter su famiglia, che se la famiglia ce l’hanno sono cavoli acidi ad ogni fine mese, giovani che ogni giorno si devono inventare il modo per sopravvivere, ricorrendo solo a se stessi e spesso malamente, non sorretti da scelte responsabili in quanto sopraffatti dall’urgenza, persone senza santi in paradiso ma bersaglio di ‘protezioni’ pericolose.
Nelle periferie palpita il cuore della gente, quella semplice che vede chiara la situazione penosa che c’è in giro, che sa spiegarsi solo con gli accenti affettuosamente banali del popolo mancante di appropriata scolarizzazione, quella gente che invoca una rivoluzione ma non la fa, che si rinchiude nelle case infocate davanti a uno schermo deificato e traditore e va a letto la sera con qualche speranzella di cambiamento.
E’ il popolo che trae legittimazione dai media, se ne nutre, in un interscambio occultamente sfavorevole al popolo stesso, che resta nell’imbambolamento culturale perché di più non gli si offre. E si fa attrarre da chi lo manipola, da chi si serve di un rinnovato strumento populistico per la conquista del voto elettorale.
Tutta l’altra fetta dei giovani laureati, valenti speranze per il Paese, o si allontanano verso altri lidi o si accontentano di sistemazioni precarie a quattro soldi o presso i noti call centers, sfiancante ripiego dopo anni sui libri.
Non si vede la volontà di salvare il Paese da parte dei politicanti. Anzi, ci si mette il carico da quattro per sventare ogni qualsiasi equilibrio. Da una parte i veleni dell’Ilva, i gravi problemi della Carbosulcis, gente a spasso disperata che alza bandiere senza aliti di vento, dall’altra il rimestamento tra i veleni delle intercettazioni che rischia di intossicare ogni panacea.
Siamo ancora piuttosto arretrati rispetto agli altri Paesi europei. Tutti scrivono, ma pochi leggono. Librerie stracolme, montagne di carta. Leggono quei pochi che già sanno, gli altri non hanno soldi per i libri . E sorge un serio sconforto a quanti, seri uomini di cultura, sfornano pagine allo scopo di cambiare il Paese, di fargli comprendere quel tantino al di là degli “spaghetti alla carbonara” e della partita di pallone.
Una nazione ferma non è nazione, ma un lager di speranze disilluse, di arrabbattamenti, di ricorso all’illegalità, di una cultura che si è fermata davvero al grado di cultura popolaresca nell’accezione più negativa. Sembra di ricominciare dalla preistoria per poter aprire certe menti che si crogiolano ancora in una parvenza di consumismo, che procedono sul loro Suv nella tronfia sicumera di un illusorio possesso. Ce n’è ancora tanti in giro con gli occhi semichiusi… eyes wide shut.
Angela Grazia Arcuri
Roma, 31 agosto 2012.