OBSOLESCENZA: usa e getta per la crescita… della “monnezza”
Cara lampadina, ti compro oggi e presto t’infrangerai in un lampo quasi diabolico. Ma non è Belzebù a metterci la coda…E’ piuttosto “La cospirazione delle lampadine”, come titola un film-documentario che rivela i segreti della tua breve vita.
Ora, così allo scoperto, truccata dai chirurghi del risparmio energetico, con un pizzico di civetteria hai voluto cambiare generalità facendoti chiamare “Miss Alogena”. Ma le tue incandescenti e assai costose ali di farfalla sono costrette a volare in alto, perché se t’innamori di Mr. Abat-jour ti esponi immancabilmente a cadute accidentali che bruceranno anzitempo la tua programmata lunga vita.
Obsolescenza pianificata
Dopo il brevetto di Edison a fine ‘800, i signori dell’industria delle lampadine cominciarono a farsi furbi, non trovando produttivo per il mercato che la lampadina avesse una vita di 2500 ore. Quindi, si riunirono nel 1924 a Ginevra ed istituirono il primo cartello mondiale chiamato “PHOEBUS”, in cui veniva stabilito che la lampadina non dovesse avere una durata superiore alle 1000 ore. Fu il primo passo verso il grande inganno, cui si accodarono tutte le altre industrie.
A seguito poi della crisi americana del ‘29, fu un certo Bernard London a teorizzare nel 1933 l’”obsolescenza obbligatoria” per ogni bene di consumo allo scopo di creare una domanda continua per il profitto delle aziende. Fu poi, sempre negli Stati Uniti, che Brook Stevens coniò negli anni ’50 il termine “obsolescenza percepita”, il cui significato appare assai chiaro a noi consumatori del 2000 costretti a subire il fascino subdolo dell’evoluzione tecnologica alla velocità della luce.
Dopo le ristrettezze del dopoguerra, alla gente non sembrava vero di potersi allargare e buttare via gli stracci. Con le suggestioni arrivate dall’America, la massaia finalmente si emancipava dalla fatica delle braccia con l’aiuto benedetto della lavatrice e di tutti gli altri apparecchi domestici.
Nell’ansia del cambiamento, ormai la gente si lascia convincere all’acquisto di beni di nuova generazione, quasi vergognandosi di un oggetto di vecchio modello ma pur decoroso per un assurdo e ridicolo spirito di competizione A ciò anche costretta dall’ irreperibilità di pezzi di ricambio che, sommati al costo della manodopera, consigliano l’acquisto del nuovo. Così il vecchio televisore o il robusto frigorifero, insieme a tutti i cellulari ritenuti antiquati per forma e prestazioni, andranno a fare mucchio nelle discariche con tutte le conseguenze di smaltimento.
Il diktat del digitale
L’avvento del digitale, una complicazione da niente per il tranquillo rapporto col nostro vecchio teleschermo! Siamo rimasti tutti coinvolti nel vergognoso business sui “decoders”, quelle maledette scatole che, dopo averne acquistate almeno due, nessuna adatta, alla fine decidi per il “plasma”, quell’ enorme sottiletta nera col decoder già incorporato. Ma se vuoi mantenere anche il buon vecchio apparecchio che funziona ancora a meraviglia, allora non c’è scampo e devi soggiacere all’acquisto del decoder più costoso e finalmente funzionante. Non solo, perché ogni decoder viene fornito con piccolo telecomando che va usato in binomio col vecchio: quest’ultimo per accendere la tv e il nuovo per la scelta dei canali. Un continuo e stressante smaneggiamento, che sfiancherebbe anche Kali, la deità indiana rappresentata con tante braccia e tante mani…
I supermarket dell’elettronica sono pur in tempi di crisi sempre pieni di gente affannata, che fa ricorso al cosiddetto ‘finanziamento’ per l’acquisto di prodotti non si sa quanto indispensabili. L’unica cosa che non possiamo comprare è un cervello nuovo, né cambiarci i neuroni come batterie.
Le batterie!! Una continua disperazione, sottoposte anch’esse alla perfida legge dell’obsolescenza, visto che senza questi ‘energizzanti’ non possono funzionare gli oggetti d’uso quotidiano ormai indifferibili, come orologi, telefoni cordless, cellulari, apparecchi medicali e quant’altro ci facilita il cammino della nostra faticosa esistenza.
La società del benessere è durata pochi decenni illusori, lasciandoci con la bocca amara, la coscienza pelosa e le nostre case stracolme di roba per il cassonetto. Il problema dello smaltimento dei rifiuti ha assunto proporzioni colossali e tragiche, specie quello dei rifiuti tossici che vanno a finire nei paesi del terzo mondo o chissà dove: una ‘monnezza’ che più ‘sporca’ non si può…. Quindi, eccessivo consumo, accumulo di ‘ monnezza’, malattie e malaffare.
Un futuro a misura d’uomo
Sorge un ragionamento elementare: l’induzione occulta all’acquisto ha portato al consumismo, il consumismo ha condotto alla proliferazione di industrie e aziende sollecitate dalla crescente domanda. Quando poi arriva una crisi, la domanda decresce e decresce la produzione, laddove l’industria e tutto l’indotto satellite non riescono a restare in piedi per i motivi che conosciamo. Da qui chiusure di stabilimenti sul nostro territorio e “delocalizzazioni”. Quindi, l’ “obsolescenza programmata” un secolo fa, non avendo potuto prevedere ciò che sarebbe accaduto nello stravolgimento moderno delle leggi speculative di mercato, ha portato alla fine del suo gioco perverso nient’altro che disoccupazione e… montagne di rifiuti!
Sembra che il cambiamento per un futuro diverso interessi a pochi, certamente non a quelli che si stanno ricaricando per rimettere in piedi l’impalcatura di una politica allo sbando. L’ottica a breve termine è controproducente.
Tra umanità desolata e ‘monnezza’, la Terra ha perso ogni respiro. Non è possibile una “review” per un consumo più ragionato e intelligente? Non è possibile un nuovo Rinascimento delle idee? Non è possibile una “decrescita felice”? Ma sembra che in questi frangenti non ci sia spazio per le utopie….
Angela Grazia Arcuri
Roma, 24 luglio 2012.