“In fondo al mar” Mediterraneo
Gli alberi che sorgono dalle acque del Mare Nostrum non sono alberi della vita. Non hanno rami di legno ma rami umani, corpi contorti nell’immagine già quasi pietrificata, vite trascinate giù nei fondali sabbiosi con le braccia alzate verso l’alto in un disperato anelito verso le promesse della loro giovane vita. Volevano andare al nord della Terra. Volevano, ma ora giacciono “in fondo al mar”, in quelle piane abissali dove troveranno finalmente la loro dignità di uomini liberi e dove forse “sirenette” pietose saranno le uniche ad intrecciare intorno a loro l’ultima delle danze.
Il fondo del Mediterraneo è ormai tutto un tappeto umano, un cimitero sepolto da miliardi di litri cubi di acqua salata, in tali profondità impossibili da scrutare ad alcun occhio umano. Restano laggiù, come tutti i dispersi delle tragedie collettive, quelle dei genocidi disconosciuti e volutamente ignorati dalle opportunità politiche.
Una cerimonia ufficiale, un discorso, tanti discorsi da anni per tante, troppe tragedie del mare sulle carrette della speranza. Traffico di carne umana, business milionari. Spazi millimetrati secondo la misura di donne e bambini, ammassati nel buio angusto delle stive come sardine in scatola, più ne sono più dollari in tasca agli scafisti. Sono corpi morti in partenza, importante è intascare i soldi prima che il barcone prenda il largo. Ma quando la tratta degli schiavi approda da noi, se riesce ad approdare, altri falchi stanno pronti in vedetta per il lucro di loro competenza.
Finora, un’Europa distrattamente egoista ha fatto orecchie da mercante alle ripetute richieste di un’Italia che ha dovuto adattarsi al fai da te, bene o male che sia. Un’Italia generosa, diciamolo, dove i cittadini di Lampedusa o quelli del Giglio per il disastro della Concordia, non si sono risparmiati per salvare e aiutare i superstiti delle tragedie del mare. Il vertice dei Paesi UE che si terrà a Bruxelles giovedì prossimo ci saprà dire se le promesse dei membri europei si risolveranno in una seria unità di intenti sul da farsi per arginare la questione libica. Non sarà facile, in una terra diventata di tutti e di nessuno dopo la scomparsa di Gheddafi, facile terra di conquista frazionata dall’Isis in tante roccaforti costiere. Chiamare all’appello tante responsabilità su scala mondiale non sarà un gioco, o quantomeno un gioco di interessi.
E non si arresta l’esodo dalle terre subsahariane, come un fiotto di sangue nero da un’arteria. Quello del Mar Rosso diventa al confronto una favoletta.
Angela Grazia Arcuri
Roma, 21 aprile 2015