Ricicliamoci !

di Angela Grazia Arcuri
La parola d’ordine è austerità e ancora austerità. Ma non è come nel 1973, quando il periodo di “austerity” ci fu imposto dall’alto per ristrettezze energetiche, il petrolio salito alle stelle per la chiusura del Canale di Suez con la guerra del Kippur e le petroliere costrette a “circumnavigare l’Africa” come ai tempi di Magellano. Allora sembrava tutto più facile e accettabile, anche il coprifuoco alle 22.45 dell’unica emittente Rai1, anche la chiusura dei cinematografi alle 22.30 ed ogni domenica senza la quattroruote per oltre un anno e mezzo, tanto si poteva pedalare senza il pericolo delle polvere sottili e…via col vento.
I giovani di adesso erano ancora nel mondo delle idee per averne un ricordo ed i giovani d’allora non avevano sulle spalle i “pesi” dell’oggi. La vita veniva presa alla leggera, con la spensieratezza propria della gioventù che se ne infischia.
Ora tutto avviene dopo quasi quarant’anni e noi , in tanti anni, siamo cambiati assai. Ora è un bisogno quasi fisico di imporre a noi stessi una svolta, forse dettata dalla paura di non farcela, un imperativo che ci viene da dentro, dal profondo di una coscienza pelosa. Nessuno sta col fucile in mano a impedirci di accendere il forno per cuocere il pesce con le patate anzichè optare per la padella o magari a mangiarlo crudo, perché no, tipo sushi… o vietarci un lolly-pop e patatine al centro commerciale o concederci il lusso di una “margherita” alla pizzeriola sotto casa. Ora siamo cambiati un po’ tutti dentro, iniziamo a capire l’inutilità del superfluo dopo tanto scialo, ci stiamo provando con tutta la buona volontà di pecorelle smarrite guidate dal buon pastore. Stiamo cominciando a centrare veramente i nostri bisogni con ritrovata saggezza, con sguardo diffidente alle lusinghe del consumismo di coda, questo Moloch che per anni ci ha tutti inghiottiti. Un’occhiata agli armadi di casa e trovi di tutto e di più. Quanti giovani dai trenta in su si sono risolti a prenotare uno stand in qualche mercato di rigatteria, oggi fiorenti, allo scopo di vuotare gli armadi di tutte le cose inutili, dei loro jeans adolescenziali “ taglia small” in acquiescenza negli scatoloni, in attesa, chissà, di poterci un giorno rientrare. E di quell’ oggettistica kitch appartenente alla sfera dei ricordi, ormai surclassata dall’imperante gusto minimalista. C’è di tutto da poter vendere e racimolarci qualche soldino anziché farne un bustone per il cassonetto.
Ora dobbiamo riciclarci. Servirebbe una pentola nuova? No grazie, basta pulire bene quella vecchia e sembrerà appena comprata. Tutta questione di pigrizia. Non fare il carrello pieno al supermercato per evitare il surgelamento dei cibi: meglio la spesa day by day, giorno per giorno. Desideri un vestitino nuovo? Meglio lasciarlo nell’agenda dei desideri. No grazie, vanno bene quelli vecchi con qualche accessorio particolare o un’aggiustatina alla spalla, che se ce ne levi una non fai un soldo di danno, anzi fa tanto sexy quella bretellina del reggiseno che occhieggia sull’omero. Per inciso, è la stessa bretellina che un tempo, non sia mai, andava subitamente ricomposta al punto giusto. Ma, oggi, le manifatture dell’intimo femminile hanno provveduto a salvare in certo qual modo il pudore mettendo in commercio spalline di reggiseno trasparenti… bruttissime ed ipocrite. Come non sembra più esserci il vestito “prè-maman”: basta una maglietta lunga o un camicione, con cinturone ben piazzato all’inguine per mettere in risalto il pancione, che va e deve essere mostrato. Dice, la morale cambia. No, cambia l’economia, ed anche il concetto di morale è diventato solo una mera astrazione sottomessa all’altalena delle leggi di mercato.
Insomma, oggi per barcamenarsi è tutta questione di fantasia, quella che non abbonda mai nei tempi di cuccagna. Ti piacerebbe una collana nuova? Se abiti a Napoli, dai una mano allo sfoltimento della “monnezza”, àrmati di guanti di gomma e ripesca le “camere d’aria” delle auto. Non è invenzione, lo sta facendo un gruppo di “creativi”: prendono le camere d’aria, le lavano bene perché sono altamente inquinanti, ritagliandole in forme originali per farne collane e bijoux vari. Un consiglio però : la collana meglio d’inverno , perché d’estate, col caldo, il sudore che gocciola su collo e nuca, sai, insomma , ci può scappare qualche eczema. Poi tocca andare in farmacia e le medicine costano. L’ecosostenibilità ti assolverà… Anche sul web sono sorti da tempo siti di baratto di ogni prodotto, che riescono a coniugare il profitto con lo sviluppo sociale, così si reclamizzano. Tutto in nome del riutilizzo, del riciclo. Chi avrebbe detto che il termine “auto sostenibilità” sarebbe entrato a far parte del nostro lessico familiare ?
Le industrie alimentari non sanno più cosa inventarsi sulle loro etichette per allontanare dai consumatori lo spettro delle “contaminazioni”. Dopo l’allarme del “pane migliorato” con additivi chimici, ecco sulle etichette l’indicazione in grassetto “lievito naturale” o “lievito madre”. Su altre cibarie ci si affretta a mettere in risalto “ senza coloranti né conservanti” o “ grassi vegetali non idrogenati”, “ zero colesterolo”, “grassi saturi” al minimo, produzione “bio”, tutto per favorire il consumo tornando al naturale, al vegetale, al light. Così il target della richiesta, in nome del cambiamento globale soprattutto nel settore della nutrizione. La pubblicità televisiva segue poi i suoi diktat in periodo di crisi. Ci chiediamo a proposito come una certa casa automobilistica si diverta a fare delle provocazioni che qualche utente, non proprio attento, può equivocare. Lo spot fa vedere una giovane coppia che, recatasi in un autosalone, all’offerta stracciata sul prezzo dell’autovettura da parte del venditore, esclama: “ Oh no, vogliamo spendere molto di più!!”, parafrasando Richard Geere in una nota sequenza di “Pretty woman”. Impudenti! Magari, uno sente la tv mentre dal bagno si sta radendo la barba con la porta socchiusa e, soprappensiero se lasciare o no le basette, si dice: “Ah, quelli spendono e io sono qui a fare la formica!”. Però, poi, va ad informarsi su quella marca di automobile, per pura curiosità… ed ecco raggiunto lo scopo dello spot nella sua logica “subliminale”!
Anche la moda si adegua. Certe sfilate autunno-inverno hanno presentato i modelli della crisi. Più contenutezza di stile, più portabilità, tessuti tassativamente “naturali”, colori presi dalle nuances del bosco e del sottobosco: verdolino fresco, verde marcio, color tabacco e via via fino all’arancio e al giallo, cromatismo fisiologico di una foglia caduta … “povera foglia frale”! Un bel daffare per i creativi della moda, in giro per i boschi con la lente d’ingrandimento! Gli stilisti emergenti, di recente imprenditorialità, fanno da parte loro quello che possono, non rinunciando ad offrire al “vestir giovane” un pizzico di glamour ed immaginario, riciclando anch’essi materiali di esclusiva origine “naturale”. Anch’essi per i boschi raschiando cortecce d’albero o frugando nei secchioni del “differenziato”? Ogni cosa, ogni gusto si sta uniformando all’insegna del “green”…. come le nostre tasche. Make a change! Noi ce la mettiamo tutta, ci piace questo “new deal” di saggezza e serietà, è necessario, ma che ci stendano un tappeto di “ buoni esempi” per addolcirci il traghetto. Anche magari guardando un po’ oltre ancora, nell’ottica di un elementare dettato economico, secondo il quale l’abbattimento dei consumi porta a….e quel che segue.
24 novembre 2011